Dall’
ar. ṭabūr, con attrazione di
ṭunbūr (Nocentini s.v.
tamburo; vd. anche Castellani,
Gramm. stor., p. 246), att. in volg. fin dal sec. XIII. La bibliografia individua come possibili fonti o modelli dell’incipit di
Inf. 22 (e quindi del lessico derivante dall'àmbito della battaglia, di cui esso è ricco), il famoso
Miei sirventes di Bertran de Born e il sonetto
E ’
l martedì li do un nuovo mondo di Folgóre da San Gimignano (cfr. almeno Marcozzi,
La guerra, pp. 74-76 e Picone,
La carriera del libertino, pp. 498-500). Guido da Pisa per
Inf. 22.8 e per
Inf. 30.103 afferma che il volg.
tamburo corrisponde al classico
tympanum, parola normalmente utilizzata nella tradizione cristiana e nel latino mediev. per indicare sia il tamburo monopelle sia quello a due membrane (cfr. DEUMM s.v.
tympanon). In partic. per
Inf. 30.103 già Guido, sulla scorta delle classificazioni mediche del tempo, individua la connessione lessicale tra l’uso di
tamburo (anticipato al v. 49 da un altro strumento, il
leuto, vd.) e l’idropisia detta “timpanite” (vd.
idropesì): «Quia ydropsis ystius Adami fuit ex quarta specie que dicitur tympanites [...], quod venter sonuit sicut tympanum, quod vulgo dicitur tamburo. Fit autem timpanum ex pelle sive carta desiccata, super lignum ex una parte extensa». Tuttavia, secondo Bartoli, Ureni,
La malattia e Bartoli,
L’idropisia, nel ventre di un malato di timpanite dovrebbe essere presente del vapore, e non l'«acqua marcia» menzionata al v. 122, che invece sarebbe uno dei principali segni dell'idropisia “ascite” (vd. ancora
idropesì).
Autore: Cristiano Lorenzi Biondi.
Data redazione: 03.10.2018.
Data ultima revisione: 03.12.2018.