Commedia |
lëuto Inf. 30.49 (:). |
Voce di derivazione
ar. (
al-‘ūd ‘il legno’) passata tramite il
fr. antico leut, come dimostra anche la presenza della
e in protonia (Castellani,
Gramm. Stor., pp. 122 e 246; Cella,
I gallicismi, pp. 461-462 e Viel,
I gallicismi, pp. 275-276). Dall'apparato Petrocchi si ricava che nell'antica vulgata alcuni mss. (Cha, Ga e Vat) presentano anche la forma con chiusura di
e in
i. A
Inf. 30.49 Dante utilizza il
leuto per descrivere la deformità di maestro Adamo: fatta salva la presenza delle gambe, il dannato, affetto da idropisia (vd.
idropesì), è «fatto a guisa» dello strumento, cioè con collo e viso smagriti (simili al manico del liuto) e ventre gonfio e sproporzionato rispetto al resto del corpo (simile quindi alla cassa armonica dello strumento; cfr.
Inf. 30.49-54, 69, 102-103, 119, 122-123 e 126). Si osservi che con un’identica selezione lessicale dall’àmbito musicale, Dante al v. 103 equipara l’«epa croia» di maestro Adamo, percossa da Sinone, ad un
tamburo (vd.) che suona. Per un approfondimento sulla storia del liuto e sulla sua esatta forma nel Medioevo si vedano ED s.v.
leuto e DEUMM s.v.
liuto.
Autore: Cristiano Lorenzi Biondi.
Data redazione: 03.10.2018.
Data ultima revisione: 03.12.2018.