Inf. 23.99: favilla Po; Par. 1.59: favillar Eg.
Prima att. Formazione verb. parasintetica sul sost.
favilla (vd.; cfr. anche
disfavillare), più fortunata rispetto al denominale
favillare (v. oltre). Il ricorso a
sfavillare si concentra nell’ultima cantica, dove, con altri verbi appartenenti alla stessa sfera semantica (cfr. per es.
coruscare,
lampeggiare), concorre a rappresentare la prodigiosa intensità luminosa emanata dalle diverse creature celesti. In partic., il verbo appare funzionale a rendere l’immagine di uno splendore uniforme e al contempo “plurale”, in cui è cioè possibile distinguere le innumerevoli, singole luci degli spiriti che lo compongono (cfr. Iacomo della Lana, a
Par. 28.89-90: «Qui vole poetando mostrare che in omne ordene hae grande multitudene d'angelli, e dixe che sì li distinxe per li circuli come se li distingue le faville del ferro buglente»). A
Par. 14.76, l’accostamento del chiarore ardente delle anime a quello dello Spirito Santo evoca, proprio tramite il verbo, l’immagine scritturale delle
linguae ignis (
Act. 2, 3) che spandono attorno la sapienza divina. È naturalmente estranea alle figure di luce del terzo regno invece, l’unica occ. infernale di
sfavillare, che sovrappone il signif. fig. di ‘manifestarsi esternamente’ (rif. a
pena), a quello proprio di ‘scintillare’, con allusione all’abbagliamento artificiale e ingannevole prodotto dalle cappe dorate degli ipocriti (vd.
ipocresia,
ipocrita).
Varianti. La trad. del poema attesta la forma verbale semplice
favillare, rara nell'it. antico (cfr.
Corpus OVI): i pochi ess. si rilevano attraverso i codd. Po ed Eg rispettivamente a
Inf. 23.99 e a
Par. 1.59 (qui cfr. anche
Francesco da Buti: «
Ch'io nol vedesse favillar dintorno [[...]] vede favillare la sua grande luce...»).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 14.11.2017.
Data ultima revisione: 21.12.2018.