Vocabolario Dantesco
mozzo agg.
Commedia 5 (3 Inf., 1 Purg., 1 Par.).
Commedia mozza Inf. 28.103 (:); mozze Par. 19.134 (:); mozzi Inf. 7.57 (:); mozzo Inf. 28.19 (:), Purg. 16.15 (:).
Per lettere mozze vd. anche lettera s.f..

Dal lat. volg. *mutiu(m) 'tagliato all'estremità', derivato dal lat. mutilus 'mutilo' (vd. Nocentini s.v.). l'agg. è att. per la prima volta nel 1190 con il signif. fig. di 'privo di senno, incapace di intendere e di volere', nel Contrasto di Raimbaut de Vaqueiras (vd. TLIO s.v. mozzo (1)). Dante utilizza il vocabolo soltanto nella Commedia, sempre in rima aspra con sozzo, e in tutte le cantiche, conferendo all'agg. nuove accezioni. A Inf. 28.19 e 28.103, mozzo vale 'amputato di una parte del corpo', rif. in partic. rispettivamente alle membra troncate dei seminatori di discordia dell'ottavo cerchio, e alle mani di Mosca dei Lamberti. A Inf. 7.57, invece, mozzo è rif. al crine dei prodighi (cfr. scemi a Purg. 22.46): costoro, infatti, dopo il Giudizio finale, risorgeranno con i capelli tagliati; tale tonsura simboleggerà la rinuncia alle stesse «sostanze temporali» che i peccatori sperperarono (vd. Chiavacci Leonardi, ad l.). In senso fig., a Purg. 16.15, nell'ammonimento che Virgilio rivolge a Dante, mozzo vale invece ‘allontanato violentamente’: il poeta, infatti, accecato dal fumo della terza cornice, deve prestare attenzione a non smarrirsi, separandosi dal suo maestro; vd. anche Benvenuto da Imola: «quasi dicat: cave ne ira violenta quoquo modo separet te a me, quia faciliter et cito posses perdere me, et tarde vel nunquam reinvenire». A Par. 19.134, infine, mozzo è rif., in un contesto fig., ai segni grafici (vd. scrittura, 4) di quanto è scritto sul "libro della giustizia divina" circa Federico II re di Sicilia: le lettere (vd. lettera, 1.1) di tale testo, infatti, devono essere abbreviate per dire molto in poco spazio; tantoché, secondo Parodi, per lettere mozze è da intendere 'abbreviature stenografiche' (cfr. ED). Gli antichi commentatori chiosano l'agg. generic. come 'troncato', 'separato' (vd. Francesco da Buti); soltanto Benvenuto da Imola si sofferma maggiormente sul signif. di lettere mozze, interpretando il sintagma come «scilicet, singulae pro partibus». I signif. danteschi di mozzo permangono nella trad. letteraria successiva (vd. GDLI s.v. mozzo (1)). Tutt'oggi, nell'italiano dell'uso, sono registrate accezioni di mozzo, pure obsolete, che muovono da quelle della Commedia (vd. GRADIT s.v.). Per mozzo a Purg. 16.15 è att. la var. rimosso in Ham. Rimosso è lectio facilior: l'agg. mozzo, infatti, nel signif. fig. meno immediato di ‘separato’, ‘diviso’, è stato quindi sostituito con il part. pass. di rimuovere. Il verbo è presente nella Commedia con il signif. di ‘allontanare’ (cfr. ED s.v.).
Autore: Francesca Carnazzi.
Data redazione: 22.02.2024.
Data ultima revisione: 26.06.2024.
1 Amputato (di una parte del corpo).
[1] Inf. 28.19: Tagliacozzo, / dove sanz' arme vinse il vecchio Alardo; / e qual forato suo membro e qual mozzo / mostrasse...
[2] Inf. 28.103: E un ch'avea l'una e l'altra man mozza, / levando i moncherin per l'aura fosca...
1.1 Tagliato (detto dei capelli).
[1] Inf. 7.57: questi resurgeranno del sepulcro / col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi
1.2 Fig. Separato del tutto da qno.
[1] Purg. 16.15: pur: «Guarda che da me tu non sia mozzo». 
2 [Rif. ai segni grafici utilizzati in un testo:] abbreviato, compendiato.
[1] Par. 19.134: la sua scrittura fian lettere mozze, / che noteranno molto in parvo loco.