Par. 19.134: lecture Pa.
Dal lat.
littera (DELI 2 s.v.
lettera), ‘eruditio’ (vd. TLL s.v., 7, 1.1532.67 e Cecchini,
Uguccione, L 42, 31), a sua volta da una base gr. (sulla quale formulano diverse ipotesi DELI 2 e Nocentini). In it. antico il sost. conosce att. dal Duecento, dapprima con l'accezione di 'comunicazione epistolare, messaggio scritto' e più tardivamente col signif. primario di 'segno alfabetico' (cfr. TLIO s.v.
lèttera). In quest'ultimo senso il termine ricorre in
Purg. 12.134 con rif. al tratto grafico P che, inciso con la punta della spada per sette volte sulla fronte di Dante a significare l'iniziale di
peccato («tanto più se la lettera va pronunciata
pe secondo la norma delle grammatiche latine e non con
pi come in Toscana», Bellomo-Carrai,
Purg. 9.112), diminuisce progressivamente di numero, in questa circostanza passando da sette a sei segni con il superamento della prima cornice. Così si intende anche l'occ. di
Conv. 4.6.3; mentre in altri luoghi del
Conv. il lessema assume varie sfumature semantiche: vale 'scrittura', rif. all'aspetto dei caratteri grafici a
Conv. 3.9.14 e nella locuz.
da lettera 'per iscritto' (
Conv. 2.13.14), che
ED (s.v.) riconduce a «emendamento operato sulla lezione corrotta dei manoscritti (la terra)»; ha uso estens. di 'erudizione' (
Conv. 1.9.3) e più largamente di 'signif. letterale' (
Conv. 2.1.7, 2.12.10, 3.12.1, 4.1.11), compresa la citazione paolina «in ispirito non in littera» (Rom. 2, 29) di
Conv. 4.28.10. Nelle
Rime e nel
Fiore,
lettera denota uno 'scritto epistolare'.
Locuz. e fras. In
Par. 19.134 il sintagma
lettere mozze indica estens. una forma di scrittura compendiaria, realizzata per mezzo di «lineette che tagliano i tratti lunghi delle lettere» (cfr. Inglese,
ad l.), con cui si redigerà in breve spazio la registrazione delle numerose colpe di Federico III di Sicilia nel libro della giustizia divina. Già parte dell'esegesi antica spiega, riferendosi a diversi sistemi di abbreviatura: Pietro Alighieri, insieme al Codice cassinese («detruncate a suis ditionibus»,
ad l.), chiosa: «in licteris truncis a suis dictionibus modicum occupabunt in predicto libro, exemplo Boetii in describendo phylosophiam et ponendo pro hac dictione theorica solum hanc licteram T et pro pratica P»; Benvenuto da Imola,
ad l., intende, invece, «singulae [litterae] pro partibus», con cui concordano i commentatori moderni. Più di recente Mantovani,
Le "lettere mozze", pp. 43-49, ripropone l'interpretazione ottocentesca di 'cifre arabe' (vd. Fraticelli, Bianchi), rifacendosi alla notazione araba delle scuole d'abaco, che richiederebbe un minore dispendio di carta rispetto a quella romana, adottata ad es. per Carlo d'Angiò (vv. 128-129, dove I vale 'uno' e M vale 'mille'). Tale soluzione è opportunamente confutata da Inglese, il quale spiega (
ad l.) che «proprio M occupa meno spazio di
1000».
Varianti. La var.
lecture («mozze») di Pa a
Par. 19.134, se non è dovuta a banalizzazione, potrebbe valere 'interpretazione scritta (sintetica) di un testo', accezione att. nell'it. delle Origini con rif. a scritture di carattere legale (cfr. TLIO s.v.
lettura) e nel lat. mediev. 'illustrando scriptum' (Du Cange s.v.); qui con partic. riguardo alla
scrittura (vd.), tecnicismo amministrativo che sta per 'annotazione in un registro contabile a partita doppia'.
Lettura non trova invece riscontri nella lingua antica col signif. di 'contenuto di uno scritto, lezione' (per l'uso più tardo vd.
Crusca 5 s.v.
lettura, § VII;
TB s.v., § 12). È da ricondurre piuttosto a erronea segmentazione grafica la lez.
le terre recata da Rb.
Autore: Francesca De Cianni.
Data redazione: 27.09.2018.
Data ultima revisione: 28.02.2022.