fóro s.m.
Nota:Deverbale da
forare (vd.); dal punto di vista morfologico, in Dante, oltre a
fori, è presente, garantito dalla rima, anche il plur.
fora, rifatto sui sost. che hanno al plur. la desinenza dei casi retti del neutro lat., spesso ad indicare un concetto collettivo (cfr. Rohlfs, § 368). Il vocabolo, in it. antico (in cui trova un buon numero di att.), presenta usi e signif. distribuiti in maniera assai simile a quelli di
pertugio e soprattutto di
forame (vd.). Allo stesso modo che in
pertugio, nella struttura semantica, al signif.
1 è ricondotta l'occ. in cui il
foro costituisce un punto di passaggio o un collegamento da un interno a un esterno. Come accade anche in altre voci semanticamente affini (vd. per es.
buca), sia per il signif.
1 sia per il signif. estens.
1.1, è assai difficile distinguere tra le occ. in cui
foro indica uno 'spazio vuoto entro una materia solida' o una 'cavità nel terreno' e quelle in cui indica soltanto l'apertura o le aperture che caratterizzano in superficie tale 'spazio' o tale 'cavità'. Inoltre, in tali accezioni il
foro si distingue per il suo essere tondeggiante. In Dante, il vocabolo appare anche con il signif.
2 di 'ferita profonda', sia nelle
Rime (106.4, in contesto metaf.) sia nella
Commedia, dove è registrato anche con specif. rif. alle ferite e alle stimmate di Cristo (
Purg. 20.73), come accade, per es., anche in
Giordano da Pisa, Pred. Genesi 2 (cfr. TLIO s.v.
fóro 1). Tale accezione in it. antico si rileva anche per
forame (cfr.
TLIO s.v.) e per il già cit.
pertugio (per es.,
Bonvesin, Volgari, De scriptura rubra, 160, p. 138, in
Corpus OVI), e si connette con l'uso di
forare nel senso di 'ferire in profondità o trafiggere (qno)' (vd.
forare, §
2). Si osservi inoltre che in
Purg. 5, i «profondi fori» (v. 73) di Jacopo del Cassero trovano rispondenza nel corradicale «forato» (v. 98), rif. a Bonconte da Montefeltro (vd.
forato). Per quanto riguarda l'occ. di
Inf. 19.14, accolta sotto il signif. estens.
1.1, si osservi che Dante lì assimila i
fori, posti sul fondo della bolgia, a quelli «che son nel mio bel San Giovanni, / fatti per loco d'i battezzatori» (vd. anche
foracchiato). Il passo è molto dibattuto (vd. anche
battezzatoio): Tavoni (
Qualche idea, pp. 149-225) interpreta «fatti per luogo d’i battezzatori» nel senso di ‘fatti per alloggiamento dei battezzatoi’, ritenendo linguisticamente improbabili le altre parafrasi proposte (ivi, pp. 155-6; vd. anche
luogo), e immagina i
fori disposti nel pavimento della vasca centrale dell'antico fonte di San Giovanni, sulla base di illustrazioni presenti in alcuni codici dell’
Ottimo commento e dell’ultima forma dell’
Ottimo. Per tale questione, si vedano anche l'ipotesi alternativa di Garzelli (
Il fonte, p. 7) e la bibliografia riportata da Tavoni stesso alle pp. 200-2.
Autore: Cristiano Lorenzi Biondi 18.02.2020 (ultima revisione: 12.05.2020).