Voce dotta, dal
lat. sepulc(h)rum 'tomba' con
-u- tonica breve (Nocentini s.v.
sepolcro),
sepolcro/
sepulcro, se si eccettuano le forme utilizzate in toponimi, è att. soprattutto in testi letterari (cfr.
Corpus OVI). Il trattamento della vocale tonica è oscillante: nello stesso Triv la forma con vocalismo latineggiante (
sepulcro a
Inf. 7.56 e
Par. 24.126, il primo garantito dalla rima con i latinismi
pulcro e
appulcro) alterna con quella che presenta il passaggio da
-u- tonica a
-o- (
sepolcri a
Inf. 9.115 e 10.7; nel primo passo Petrocchi mette a testo la forma
sepulcri, mentre Lanza e Inglese rispettano Triv). Nei suoi signif. principali,
sepolcro, in it. antico (Dante compreso), appare in continuità con
sepulc(h)rum. Il signif.
1 è quello generico di 'tomba' (vd.
tomba), registrato già a partire da
Andrea da Grosseto (ed. Selmi), nel volgarizzamento di una massima cit. nel prologo del
De amore et dilectione Dei di Albertano da Brescia: «se avessi il piede entro 'l sepulcro ancor vorrei imparare» (L. 3, cap. 1, p. 177). Una variante della stessa massima, con attribuzione a Seneca, ricorre anche in
Conv. 4.12.11: «onde Seneca dice: "Se l'uno de' piedi avesse nel sepulcro, aprendere vorrei"» (su tale sentenza, vd. almeno Mezzadroli,
Seneca in Dante, pp. 34-40). Il signif. di 'tomba' (come struttura cava di pietra) è riscontrabile anche in
Conv. 4.7.4, in cui si parla del
sepulcro di Lazzaro (
monumentum in
Io., 11, 17, 31 e 38). All'interno del signif.
1, vale isolare
Par. 24.126, in cui, come accade anche in numerose occ. due-/trecentesche del vocabolo (cfr., per es.,
Laude cortonesi, 40.119, vol. 1, p. 282),
sepolcro è utilizzato per indicare in partic. la tomba
di Cristo: Dante allude a un episodio raccontato nel Vangelo di Giovanni (
Io., 20, 3-9; qui la tomba di Cristo è detta
monumentum), rammentato anche in
Mon. 3.9.16, dove il poeta utilizza il lat.
monumentum (sulle diverse interpretazioni di
Par. 24.124-6, vd. Hollander e Inglese, nella nota integrativa finale di
Par. 24). Si osservi che in Dante, con il medesimo uso, ricorrono anche il sintagma «sepulcral buca» (
Purg. 21.9; vd.
buca e
sepulcrale) e la parola
monimento (vd.) in
Conv. 4.12.14-15. In it. antico, inoltre,
sepolcro, come il lat.
sepulc(h)rum, viene utilizzato anche per indicare specificamente un 'monumento funerario (decorato), gen. di un personaggio o di una famiglia illustre' (cfr., per es.,
Bono Giamboni, Orosio, L. 5, cap. 21, p. 334). A tale uso sono riconducibili, con il necessario adattamento contestuale, le occ. di
sepolcro in
Inf. 9 e 10 (§
1.1), in cui
vengono chiamati
sepulcri i sarcofagi di pietra del famoso cimitero di Alycamps di Arles, ancor oggi visibili, e quelli dell'antica necropoli di Pola (
Inf. 9.115), i quali, a loro volta, costituiscono il termine di raffronto scelto da Dante per le «arche» da cui si affacciano gli eretici, anch'esse chiamate
sepulcri a
Inf. 10.7 (vd.
arca e avello; per approfondimenti, vd. anche ED s.vv.
Arles e
Pola, e Palumbo,
«Sì come ad Arli [...] // fanno i sepulcri tutt'il loco varo»).
Boccaccio, a
Inf. 9.131, fornisce del vocabolo la seguente interpretazione etimologica: «"sepolcro", quasi "seorsum a pulchro", per ciò che è da cosa bella separato» (di diverso avviso Isidoro,
Etimol., XV.11.1: «Sepulchrum a sepulto dictum»).
Autore: Cristiano Lorenzi Biondi.
Data redazione: 26.06.2020.
Data ultima revisione: 21.07.2020.