Già Isidoro di Siviglia riporta per
moneta elementi utili per il signif. principale del lemma dantesco (§
1): «moneta appellata est quia monet ne qua fraus in metallo vel in pondere fiat» e, poco dopo, parlando del
nomisma, «in nomismate tria quaeruntur: metallum, figura et pondus» (Isidoro,
Etimol., XVI.18.8 e 12). Lega, conio e peso (vd.
lega 1,
conio e
peso e cfr.
infra) concorrono dunque a definire
moneta: come si coglie da molti dei contesti, l'alterazione di uno di questi elementi determina la perdita della sua validità, mentre il loro rispetto ne garantisce l'autenticità. Nella definizione di
moneta, inoltre, sono intrinsecamente connessi la sua componente materiale, la sua ragione socio-/istituzionale e commerciale - come ben attestano i commentatori mediev. dell'Aristotele latino e dell'
Etica Nicomachea (vd. Bisson,
Moneta e Evangelisti,
Il quadrato) - e il suo stesso valore. Quest'ultimo, secondo gli storici economici, è distinguibile in: "prezzo" (valore di una moneta reale espresso in monete di conto, utile per comparare tra loro monete coniate con metalli diversi), "valore intrinseco" (valore del metallo utilizzato nella produzione di una moneta) e "valore reale" (potere d'acquisto), come ben riassumono Artale,
«Dal fiorin d'oro d'amore», pp. 33-34 e Goldthwaite,
L'economia, in partic. pp. 829-835. Tali concetti sono utili a comprendere
Purg. 6.146, in cui Dante allude prob. alla decisione del Comune di Firenze di diminuire la quantità di metallo prezioso nelle monete argentee, senza mai svilire il fiorino d'oro, il quale a sua volta aumentò sensibilmente di prezzo rispetto alle monete argentee (vd.
fiorino e cfr. Carpi,
La nobiltà, pp. 224-225 e 306; Alonzo,
Numismatica, pp. 88-89; per il concetto di
moneta in Dante e nel Medioevo, vd. anche Garrani,
Il pensiero). Significativo il contesto di
Par. 24.83-87: con una sorvegliata scelta che attinge, con molta originalità, anche a modelli biblici (su tutti, l'episodio di san Pietro e il tributo, o la parabola dei talenti), il poeta ricorre, in contesto fig., all'ampio repertorio lessicale scaturito da
moneta («lega», «peso», «borsa», «lucida», «tonda», «conio»), termine con cui san Pietro allude alla virtù della Fede; vengono così individuati tutti gli elementi per cui la «moneta» della Fede di Dante può essere dichiarata autentica (cfr., con relativa bibliografia, Alonzo cit., e in partic. pp. 98-100; Bambeck,
Münze und Glaube; Klettke,
Il vaglio, e in partic. pp. 163-167). Il lemma
moneta è att. anche nel
Conv. e nel
Fiore con i signif.
1.2 e
1.1. Nella
Commedia è att. anche il derivato
monetiere (vd.).
Locuz. e fras. A
Par. 29.126 (§
1.1.), Dante impiega l'espressione
moneta senza conio (ripresa poi da
Boccaccio, Decameron, VI, 10, p. 434), prob. sul calco di sintagmi come
cattiva/
falsa/
mala/
rea moneta ecc. e in antonimia con
moneta coniata (cfr. GDLI s.v.
moneta § 3; TLIO s.v.
coniato e Mosti,
Un quaderno di spese s.v.
moneta), ma con l'originale sostituzione dei diversi agg. con il complemento
senza conio, che sottolinea la manifesta assenza di valore di una moneta, in quanto priva delle effigi che le dovrebbero conferire corso legale (per alcune possibili fonti, vd. Alonzo cit., pp. 97-98). Tale moneta si riferirebbe, in contesto fig., alle indulgenze di valore nullo promesse dai frati di sant'Antonio (cfr. ED s.v.
Antonio, santo), come già interpreta Iacomo Della Lana. Sempre rifacendosi all'àmbito commerciale o, ancor meglio, creditizio, Dante sfrutta l'espressione
rendere moneta (§
1.1.1), che nella prima metà del Trecento è att. in volgarizzamenti (ad es.,
Filippo da Santa Croce, Deca prima di Tito Livio, L. 2, cap. 27 e L. 5 cap. 35, in trad. del lat. «in creditores a debitoribus verterant» e «pecuniae solverentur») o in testi statutari (cfr.
Corpus OVI e
Corpus DiVo). In essi è chiara l'idea del 'restituire una somma di denaro prestata', che tuttavia Dante risemantizza in àmbito morale (cfr. il successivo «a sodisfar» e
Purg. 10.108: vd.
debito e
sodisfare), con il senso fig. di 'scontare la giusta pena' (cfr. anche
Francesco da Buti, a
Purg. 11.125). Infine, a
Inf. 19.98 (§
1.2), Dante, rivolgendosi a Papa Niccolò III, utilizza l'espressione
mal tolta moneta (vd. anche
tolto), che pare richiamare i lemmi
tolletta (vd.) e
maltolletto (vd.) e di cui si rintraccia una somiglianza con i «mal tolti tesori» di
Boccaccio, Filocolo, L. 5, cap. 27, p. 585. Rimane incerto però se la parola
moneta indichi specificamente il denaro con cui, secondo ciò che riporta anche
Giovanni Villani (ed. Porta), L. 8, cap. 57, Giovanni da Procida indusse segretamente il Papa a sostenerlo contro Carlo d'Angiò, o, più genericamente, le «possessioni», le «castella» e la «moneta», frutto di «palese simonia» (cfr.
Giovanni Villani [ed. Porta], L. 8, cap. 54), cioè l'«avere» di
Inf. 19.72, con cui il Papa poté opporsi al re angioino (cfr.
ED e
DBI s.v.
Niccolò III).
Autore: Cristiano Lorenzi Biondi.
Data redazione: 08.05.2019.
Data ultima revisione: 22.07.2019.