abisso s.m.
Nota:Dal
lat. crist. abyssus (LEI s.v., 1, 216.11), a sua volta dal
gr. àbyssos (etimologicamente: 'senza fondo'). Il vocabolo lat. nella
Bibbia «da un lato indicò la profondità delle acque, la
tehōm biblica [...] dalla cui scissione [...] deriverebbero l'abisso superiore, riserva delle piogge e della rugiada, e l'abisso inferiore che circonda la terra [...]. Dall'altro indicò la profondità della terra, il pozzo senza fondo che l'Antico Testamento chiama
bôr [lat.
lacus]» e che nel Nuovo Testamento diviene, tramite proprio il lat.
abyssus, «metafora ora dell'oltretomba in generale [...], ora del castigo riservato a Satana [...], ora direttamente dell'inferno» (
Enciclopedia dell'arte medievale s.v.
abisso, e vd. anche Jenni-Westermann,
Dizionario Teologico, pp. 926-931, e GLNT, I, coll. 27-29). Nel Medioevo lat., tali signif. si accompagnano ad altre accezioni da essi derivati, e tutto ciò si riflette direttamente sullo spettro semantico delle occ. del vocabolo in volg., comprese quelle dantesche (cfr. per es. Rabano Mauro,
De rerum naturis, XI, VI; cfr. anche TLL s.v.
abyssus § I). Il poeta, infatti, con
abisso, fuori dalla
Commedia, indica la profondità delle acque primordiali (
Conv. 3.15.16, in trad. di
Prv., 8, 27-30) e 'ciascuna delle profonde cavità sotterranee della Terra o il loro insieme (con le acque e i vapori ivi contenuti)' (
Rime 9.55; cfr.
Ps., 70, 20 e, per un approfondimento,
Barbi-Pernicone,
Rime, pp. 551-552; Giunta,
Rime, p. 473;
Questio 23.83). In correlazione con questo signif., nella
Commedia,
abisso indica precisamente l'Inferno, come già accade per
abyssus a partire dal Nuovo Testamento (§
1, vd.
inferno e
valle). Inoltre nel
Purg.
(6.121) e nel
Par. (7.94 e 21.94),
abisso ricorre in uso fig. (§
2) e con rif. all'operare di Dio, cosa che, anche se solo in similitudine, avviene già nella
Bibbia (
Ps., 35, 7: «iudicia tua [[sicut]] abyssus multa»), e da lì nella trad. cristiana mediolatina (cfr. TLL s.v.
abyssus § II). Per il signif.
2, sono utili le osservazioni dei commenti moderni (soprattutto, Mattalia e Chiavacci Leonardi), che sottolineano come i vv. in cui
abisso è inserito insistono sull'incolmabile distanza tra l'operare divino e la possibilità che le creature di Dio hanno di comprenderlo o intuirlo («scisso» di
Purg. 6.123 e
Par. 21.96). Essi, infatti, sono caratterizzati dal ricorrere di verbi che indicano azioni o movimenti penetranti (
Par. 7.94: «Ficca l'occhio per entro l'abisso»;
Par. 21.94: «sì s'innoltra ne lo abisso»), e, in sintesi, descrivono il misterioso volere divino, il cui motivo, come si dice proprio in
Par. 7, rimane «occulto» (v. 56) o «sepulto» (v. 58). In base a questi elementi, tale uso di
abisso potrebbe correlarsi con alcuni usi di
mare (vd.) e di
pelago (vd.), talora impiegati per rappresentare la vastità e l'insondabilità di Dio, forse proprio a partire dalle accezioni di
abyssus che si riferiscono sia all'elemento dell'acqua sia all'idea di una profondità senza limite.
Locuz. e fras. Il
profondo abisso di
Inf. 11.5, dato il contesto, sembrerebbe indicare specificamente i cerchi infernali posti sotto il livello della città di Dite, chiamati a
Inf. 11.69
baratro (vd.) e facenti parte, assieme al sesto cerchio, di quello che Dante chiama «basso inferno» (vd.
inferno). L'espressione tornerebbe una seconda volta, se a
Inf. 3.41 si ammettesse a testo la var.
abisso (Co, Mart, Triv e Marc. Zan. 80, accolta da Lanza) al posto di
inferno (vd.); in tal caso, però, la cooccorrenza non potrebbe avere la medesima specializzazione riscontrabile a
Inf. 11.5.
Varianti. A
Inf. 11.5,
abisso trova la var.
poçço (in Po), che potrebbe essersi originata per ripetizione grafico-fonetica del precedente
puzzo (vd.). Per la semantica della var., vd.
pozzo.
Autore: Cristiano Lorenzi Biondi 28.11.2019 (ultima revisione: 27.02.2020).