Dal
lat. pelagum (DELI 2 s.v.
pèlago). Il vocabolo, col signif. di 'mare aperto e profondo' («la voce per Dante vale sostanzialmente "acqua profonda"», Orengo,
Le arti del mare, p. 314; è dunque sinonimo di
alto mare, vd.
mare, signif.
1), ricorre tre volte nella
Commedia, in due similitudini e in un contesto fig. A
Inf. 1.23, nella prima similitudine del poema, il
pelago rappresenta il mondo del peccato, «l'abisso del male» (Chiavacci Leonardi
ad l.): per questo passo, Inglese (
ad l.) ricorda Agostino,
Enarr. in
PS 64.9 «mare in figura dicitur saeculum hoc... procellis turbulentum». L'occ. di
Par. 2.5 è nella celebre metafora dell'opera poetica come viaggio per mare che apre il secondo canto del
Paradiso (vd. anche
lido e
mare; sul
topos del mare-testo cfr. almeno Finazzi
, «La navicella dell'ingegno» e relativa bibliografia): le acque profonde rappresentano, in questo contesto, la difficoltà della terza cantica, specie in relaz. agli argomenti teologici in essa trattati. Anche le due occorrenze del
Convivio rientrano in questo stesso uso fig. di
pelago entro la metafora della scrittura come navigazione, riferendosi alla complessità e allo spessore dei contenuti dell'opera (vd. anche
mare e relativa
Nota e TLIO s.v.
pelago, signif. 3.1). A
Par. 19.62, infine, è spiegato con una similitudine che la vista di chi vive nel mondo terreno («la vista che riceve il vostro mondo») si addentra nella giustizia divina come l'occhio nel mare: dalla riva riesce a scorgerne il fondo («ben che da la proda veggia il fondo»), ma non può più vederlo quando avanza nell'alto mare («in
pelago»). In questo contesto, che descrive il misterioso volere divino,
pelago è dunque correlato con l'uso di
mare (vd.) e di
abisso (vd.) nel rappresentare l'insondabilità e la vastità di Dio e del suo volere. Complessivamente, dunque,
pelago è vocabolo utilizzato per alludere alle difficoltà e i pericoli cui l'alto mare espone i navigatori (già nel Medioevo lat., cfr. TLL s.v.
pelagus) e Dante lo sceglie per indicare, in similitudini o in contesti figurati, un luogo caratterizzato da profondità e insondabilità. I
pelaghi di
Purg. 14.52 (signif.
1.1), invece, sono dei punti in cui l'acqua del fiume (l'Arno) si fa più profonda a causa di un infossamento (tra Signa e Montelupo, dove si restringe nella gola della Pietra Golfolina, vd. Basserman,
Orme), come confermato anche in TB (che s.v.
pelago al signif. 7 glossa 'per estens. dell'acqua d'Arno') e da Tommaseo,
ad l. («pelaghi: borri»).
Autore: Chiara Murru.
Data redazione: 02.10.2019.
Data ultima revisione: 25.02.2020.