Vocabolario Dantesco
rima s.f.
Commedia 6 (2 Inf., 4 Purg.).
Altre opere25 (8 Vn., 10 Conv., 7 Rime).
Commedia rima Inf. 13.48 (:); rime Inf. 32.1, Purg. 24.50, 26.99, 28.18 (:), 29.98.
Altre opere rima Vn 3.9, 5.4, 12.7, 21.1, 24.6, 25.4, 25.7, 25.8, Conv. 1.10.12, 2.12.8, 4.2.12, 4.2.12, Rime 1.21 (:), 4.14, 11.68; rime Conv. 1.13.6, 3.2.1, 3.4.4, 3.4.4, 4.1.9, 4.2.3, Rime 3.14, 4.1, 21.1, 107.2.
Nove rime 2.
Inf. 13.48: lima Co.
Vocabolari: Crusca in rete, ED.
Allotropo di ritmo, dal lat. rhythmus (gr. ῥυθμός) passato in volg. per il tramite fondamentale del fr. antico rime (DELI 2 s.v. rima; Menichetti, Metrica, pp. 22-25) e del prov. rima. La base gr. identificava, secondo le categorie aristoteliche, la componente metrica del prodotto poetico (ma anche la quantità sillabica della prolazione, la vox articulata): se in lat., a partire da Cicerone (Orat. 67) e Quintiliano (Inst. IX 4 45) questo concetto è precipuamente veicolato dal calco numerus, i grammatici della tarda classicità tendono ad adottare stabilmente rhythmus quale sinon. di numerus (cfr. Marziano Capella, De nuptiis III 967). Con la proliferazione basso-mediev. della trattatistica metrico-musicale, il valore semantico di rhythmus si sdoppia: al signif. tradizionale di numerus si affianca quello di consonantia, favorito dalla progressiva diffusione di questo fenomeno nella poesia latina, partic. in quella religiosa. Anche nel complesso dell’opera dantesca l’uso della voce rima appare diversificato, riflettendo la dicotomia semantica ereditata dal lat. tardo rithimus (e già trasmessasi ai continuatori volg. di area galloromanza). Oggetto di ampia (anche se incompiuta) riflessione teorica nel De vulg. (per cui cfr. ED s.v. rima; Tavoni a De vulg. 2.13, pp. 1522-44), la rima torna ad essere trattata nel Convivio dove, a proposito della «rima aspra e sottile» di Rime 4.14, Dante dà al termine una def. che ne sintetizza in modo perspicuo i due valori fondamentali: «Per che sapere si conviene che 'rima' si può doppiamente considerare, cioè largamente e strettamente: strettamente s'intende pur per quella concordanza che nell'ultima e penultima sillaba fare si suole; quando largamente s'intende, [s'intende] per tutto quel parlare che [in] numeri e tempo regolato in rimate consonanze cade» (Conv. 4.2.12). Al secondo signif. sono riconducibili tutte le occ. che il termine assume nella Commedia, dove rima equivale in sostanza a 'espressione verbale di natura poetica', e partendo da questo valore fondamentale saranno da interpretare i suoi diversi usi trasl. Così, le rime di Purg. 26.99 e 29.98 possono essere interpretate, sinedd., come i versi (lat. metrum), ovvero le singole manifestazioni discrete del 'parlare' poetico (in partic. l'immagine dello 'spargere' rime di Purg. 29.98 restituisce efficacemente l'idea del progressivo dipanarsi dei versi, gettati a manciate - le terzine - come semi in un campo); a Inf. 13.48 la rima si riferisce all'Eneide di Virgilio in quanto componimento in versi (ancora sinedd., dal generale al particolare rispetto al signif. espresso nel Convivio o dal particolare al generale rispetto al verso; per il valore di rima in questo contesto vd. Rinaldi, Per una risemantizzazione, pp. 129-137); il canto degli uccelli di Purg. 28.18 è associato per analogia al canto poetico, dal quale si differenzia per il fatto di essere vox confusa anziché articulata; ancora, al plur. le «rime aspre e chiocce» di Inf. 32.1 (per cui vd. anche aspro, chioccio) fanno rif. alla qualità stilistica, in partic. fono-morfologica del dettato poetico (cfr. Conv. 4.2.13: «E però dice "aspra" quanto al suono del dittato»), necessaria tanto alla programmatica aderenza della forma al contenuto (ibidem: «che a tanta materia non conviene esser leno») quanto a un'efficace applicazione dell'ἐνάργεια (evidentia) teorizzata dalla retorica classica, laddove le «nove rime» di Purg. 24.50 adombrano la rivoluzione linguistica e concettuale veicolata dalla scuola di cui Dante stesso si considera l'eminente promotore (bene l'Ottimo, che chiosa «lo stile nuovo di dire in rima»).
Varianti.  La var. lima di Co per Inf. 13.48 veicola un'accezione fig. del termine di matrice oraziana (il limae labor di Ad Pis. 291), att. nel volg. antico (vd. TLIO s.v.: 'lavorio su di un testo poetico per raffinarlo e perfezionarlo'), a partire da Brunetto Latini, che significativamente usa lima per definire proprio la rima (facendo rimare i due termini, in un gioco marcatamente autoreferenziale): «Ma perciò che la rima / si stringe a una lima / di concordar parole / come la rima vuole». La lima di Virgilio sarebbe dunque, per metaf., il prodotto del suo sforzo poetico, ovvero il poema epico.
Autore: Nicolò Magnani.
Data redazione: 09.01.2024.
Data ultima revisione: 24.04.2024.
1 [Metr.] Verso poetico.
[1] Purg. 26.99: Quali ne la tristizia di Ligurgo / si fer due figli a riveder la madre, / tal mi fec' io, ma non a tanto insurgo, / quand' io odo nomar sé stesso il padre / mio e de li altri miei miglior che mai / rime d'amor usar dolci e leggiadre...
[2] Purg. 29.98: A descriver lor forme più non spargo / rime, lettor; ch'altra spesa mi strigne, / tanto ch'a questa non posso esser largo...
1.1 [Con rif. all'Eneide:] opera letteraria in versi, poema (sinedd.).
[1] Inf. 13.48: «S' elli avesse potuto creder prima», / rispuose 'l savio mio, «anima lesa, / ciò c'ha veduto pur con la mia rima, / non averebbe in te la man distesa...
1.2 [Al plur.:] canto degli uccelli (metaf.).
[1] Purg. 28.18: ma con piena letizia l'ore prime, / cantando, ricevieno intra le foglie, / che tenevan bordone a le sue rime...
2 [Al plur.:] stile poetico, qualità formale della versificazione.
[1] Inf. 32.1: S' ïo avessi le rime aspre e chiocce, / come si converrebbe al tristo buco / sovra 'l qual pontan tutte l'altre rocce, / io premerei di mio concetto il suco / più pienamente; ma perch' io non l'abbo, / non sanza tema a dicer mi conduco...
Nove rime: il Dolce stil novo.
[1] Purg. 24.50: Ma dì s'i' veggio qui colui che fore / trasse le nove rime, cominciando / 'Donne ch'avete intelletto d'amore'».