Inf. 13.48: lima Co.
Allotropo di
ritmo, dal
lat. rhythmus (gr.
ῥυθμός) passato in volg. per il tramite fondamentale del
fr. antico
rime (DELI 2 s.v.
rima; Menichetti,
Metrica, pp. 22-25) e del
prov. rima. La base gr. identificava, secondo le categorie aristoteliche, la componente metrica del prodotto poetico (ma anche la quantità sillabica della prolazione, la
vox articulata): se in lat., a partire da Cicerone (
Orat. 67) e Quintiliano (
Inst. IX 4 45) questo concetto è precipuamente veicolato dal calco
numerus, i grammatici della tarda classicità tendono ad adottare stabilmente
rhythmus quale sinon. di
numerus (cfr. Marziano Capella,
De nuptiis III 967). Con la proliferazione basso-mediev. della trattatistica metrico-musicale, il valore semantico di
rhythmus si sdoppia: al signif. tradizionale di
numerus si affianca quello di
consonantia, favorito dalla progressiva diffusione di questo fenomeno nella poesia latina, partic. in quella religiosa. Anche nel complesso dell’opera dantesca l’uso della voce
rima appare diversificato, riflettendo la dicotomia semantica ereditata dal lat. tardo
rithimus (e già trasmessasi ai continuatori volg. di area galloromanza). Oggetto di ampia (anche se incompiuta) riflessione teorica nel
De vulg. (per cui cfr. ED s.v.
rima; Tavoni a
De vulg. 2.13, pp. 1522-44), la rima torna ad essere trattata nel
Convivio dove, a proposito della «rima aspra e sottile» di
Rime 4.14, Dante dà al termine una def. che ne sintetizza in modo perspicuo i due valori fondamentali: «Per che sapere si conviene che 'rima' si può doppiamente considerare, cioè largamente e strettamente: strettamente s'intende pur per quella concordanza che nell'ultima e penultima sillaba fare si suole; quando largamente s'intende, [s'intende] per tutto quel parlare che [in] numeri e tempo regolato in rimate consonanze cade» (
Conv. 4.2.12). Al secondo signif. sono riconducibili tutte le occ. che il termine assume nella
Commedia, dove
rima equivale in sostanza a 'espressione verbale di natura poetica', e partendo da questo valore fondamentale saranno da interpretare i suoi diversi usi trasl. Così, le
rime di
Purg. 26.99 e 29.98 possono essere interpretate, sinedd., come i versi (lat.
metrum), ovvero le singole manifestazioni discrete del 'parlare' poetico (in partic. l'immagine dello 'spargere' rime di
Purg. 29.98 restituisce efficacemente l'idea del progressivo dipanarsi dei versi, gettati a manciate - le terzine - come semi in un campo); a
Inf. 13.48 la
rima si riferisce all'
Eneide di Virgilio in quanto componimento in versi (ancora sinedd., dal generale al particolare rispetto al signif. espresso nel
Convivio o dal particolare al generale rispetto al verso; per il valore di
rima in questo contesto vd. Rinaldi,
Per una risemantizzazione, pp. 129-137); il canto degli uccelli di
Purg. 28.18 è associato per analogia al canto poetico, dal quale si differenzia per il fatto di essere
vox confusa anziché
articulata; ancora, al plur. le «rime aspre e chiocce» di
Inf. 32.1 (per cui vd. anche
aspro,
chioccio) fanno rif. alla qualità stilistica, in partic. fono-morfologica del dettato poetico (cfr.
Conv. 4.2.13: «E però dice "aspra" quanto al suono del dittato»), necessaria tanto alla programmatica aderenza della forma al contenuto (
ibidem: «che a tanta materia non conviene esser leno») quanto a un'efficace applicazione dell'ἐνάργεια (
evidentia) teorizzata dalla retorica classica, laddove le «nove rime» di
Purg. 24.50 adombrano la rivoluzione linguistica e concettuale veicolata dalla scuola di cui Dante stesso si considera l'eminente promotore (bene l'
Ottimo, che chiosa «lo stile nuovo di dire in rima»).
Varianti. La var.
lima di Co per
Inf. 13.48 veicola un'accezione fig. del termine di matrice oraziana (il
limae labor di
Ad Pis. 291), att. nel volg. antico (vd. TLIO s.v.: 'lavorio su di un testo poetico per raffinarlo e perfezionarlo'), a partire da
Brunetto Latini, che significativamente usa
lima per definire proprio la rima (facendo rimare i due termini, in un gioco marcatamente autoreferenziale): «Ma perciò che la rima / si stringe a una lima / di concordar parole / come la rima vuole». La
lima di Virgilio sarebbe dunque, per metaf., il prodotto del suo sforzo poetico, ovvero il poema epico.
Autore: Nicolò Magnani.
Data redazione: 09.01.2024.
Data ultima revisione: 24.04.2024.