Prima att.
Latinismo da
acumen (LEI s.v., 1, 555.25). Il sost. è impiegato esclusivamente nell'ultima cantica, in cui ricorre quattro volte (di cui tre in rima) e mai con il valore propr. di 'punta, vertice'. Si distingue l'uso del cultismo con rif. all'intensità "pungente" ora delle fonti luminose paradisiache (§
1; cfr. anche
acuto, §
2), ora del desiderio (§
1.1). Il richiamo all'immagine della "punta" per restituire la potenza di un moto dell'animo è di lunga tradizione e trova precedenti, per es., nella
compunctio amoris e nella
desiderii acies di san Gregorio Magno, o negli
aculei amoris di san Bernardo (cfr. Pertile,
La punta del disio, pp. 163-179; vd. anche
acuto, §§
3,
3.1). Infine, si isola il rif. del termine alla sfera delle doti percettive e intellettive dell'uomo (§
2) che emerge in
Par. 32.75: nelle parole di san Bernardo, infatti, il
primiero acume identifica la capacità congenita di penetrare, di "vedere" la realtà divina. Sulla
visio intellectualis o «vista de la mente» (
Purg. 10.22) è imprescindibile il rimando a Tommaso,
Summa contra Gentiles, III.53.6 (cfr. anche
acuto, §§
4,
4.1). L'accostamento di
acume alla vista o all'ingegno, certamente non estraneo alla lingua lat. (cfr. TLL s.v.
acumen, 1, 459.72), è oggi familiare e pienamente lessicalizzato (cfr. GRADIT s.v.) prob. proprio grazie all'uso dantesco e dei commentatori. Nell'it. trecentesco, infatti, tale accostamento risulta ancora occasionale e dotato di un nitido valore metaf.: a confermarlo è, per es., l'atteggiamento dei volgarizzatori, che rendono
acumen (
ingenii) con i traducenti
sottilità e
sottigliezza (
d'ingegno); cfr.
Corpus CLaVo. Cfr. anche Fanini,
Attorno all'acume
dantesco.
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 03.10.2016.
Data ultima revisione: 18.10.2019.