Commedia |
acra Purg. 9.136 (:); acro Purg. 31.3 (:). |
Prima att. Dal
lat. acer (LEI s.v., 1, 345.7), con metaplasmo di declinazione (
acre > acro) normale nell'it. antico (vd. TLIO s.v.
acre). Rispetto all'alternativa popolare
agro, le forme con conservazione della velare sorda contano att. più tarde e più rare, per lo più in ambito poetico (vd. TLIO s.vv.
acre e
agro). Nel poema
acro (mai
acre) e
agro coesistono, e si collocano sempre in posizione rimica. La perfetta sovrapponibilità semantica fra i due esiti rende frequente lo scambio
-cr-/-gr- anche nella trad. manoscritta; per il criterio adottato di volta in volta dall'ed. Petrocchi, cfr. ivi,
Introduzione, p. 444. La forma colta è dunque ammessa due volte, sempre nella seconda cantica. A
Purg. 9.136,
acro conserva il valore propr. di 'acuto, pungente (per i sensi)' ed è rif. per sinedd. ai cardini stridenti delle porte del tempio di Saturno sulla rupe Tarpea. Il ricordo dell'episodio storico è tratto da Lucano (
Phars. III, 153-155) e a quest'ultimo si richiama la maggior parte dei commentatori nell'esegesi del passo (es.
Iacomo della Lana,
ad l.: «Or perché la porta era stada parechie centonara d'agni che no era stà averta, quando s'averse ella fé grandissimo remore, tale che s'odìo per tutta Roma»). A
Purg. 31.3,
acro qualifica l'affilatezza delle parole di Beatrice, accostate a un'arma di cui il pellegrino ha assaggiato dapprima il
taglio (vd.) quindi la
punta (vd.).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 31.05.2021.
Data ultima revisione: 22.07.2021.