Germanismo dal franc. *
rauba 'bottino', 'veste' (DELI 2 s.v.
roba; Nocentini s.v.; Bertoni,
L'elemento germanico, s.v.), prestito diffuso precocemente «verso la fine del IV secolo o nella prima metà del V» (Castellani,
Gramm. stor., p. 48) e registrato anche nel lat. mediev. (Du Cange, s.v.
raub). Il sost. è ampiamente att. nell'italoromanzo a partire dai primi decenni del sec. XIII, con vari signif. (cfr.
Corpus OVI). Nel poema il vocabolo ricorre in accezione estens. in due ampie similitudini, a indicare una qualche forma di sostentamento. A
Purg. 13.61 contribuisce a precisare lo stato d'indigenza dei ciechi mendicanti, a cui sono paragonati gli spiriti degli invidiosi. In partic., nel dinamico quadro campestre di
Inf. 24,
roba indica l'approvvigionamento a cui il
villanello (vd.) non ha provveduto per il bestiame, come già sottolineano alcuni commentatori antichi (Benvenuto da Imola: «provisionem straminis pro hyeme»,
Francesco da Buti «lo strame per pascere le pecore»), da qui il rammarico dello stesso
tapin (vd.
tapino) di non poter condurre al pascolo il suo gregge, alla vista dei campi imbiancati. Altri esegeti collegano il sost. alla totale mancanza di sostentamento del pastore: es.
Ottimo,
ad l.: «è povero e non ha che dare loro pascere»; Daniello: «robba per pascere se, la sua famigliuola, e le sue pecorelle» (cfr. Bellomo,
ad l.: «è povero [...] e le pecore sono tutto ciò che ha»). L'unica occ. delle
Rime assume il signif. di 'cibo'; le ulteriori att. nelle opere dantesche rimandano al signif., assai comune anticamente, di 'abito' e sono gallicismi indotti direttamente dal fr. antico
robe o dal prov.
rauba (cfr. Viel,
L'impronta, p. 183; FEW s.v. *
rauba, 16, 674a).
Autore: Francesca De Cianni.
Data redazione: 01.02.2019.
Data ultima revisione: 31.07.2023.