Dal lat.
prunus 'susino' (DELI 2 s.v.
pruno), forse di origine preindoeuropea. Nelle due occ. infernali e in
Par. 21.111 il sost. è att. nel senso generico di 'arbusto' (GDLI s.v.
pruno 4). In partic., in
Inf. 13.32 e 13.108, il sost. ricorre nella descrizione della
mesta selva (vd.) dei suicidi e contribuisce a rendere il paesaggio ancor più tetro e inquietante (si veda, per es., la chiosa di Benvenuto da Imola,
ad l.: «idest abrupi parvum ramusculum unius magnae arboris spinosae asperae ad modum pruni»). Stesso signif. è nell'occ. di
Par. 24.111, dove Dante si rivolge a san Pietro attribuendogli il ruolo di seminatore di una
buona pianta fruttifera (una
vite (vd.), simboleggiante la Chiesa delle origini), che ora è divenuta un vile
pruno (calzante il rif. a
Is. 5.2-4 addotto da Fosca,
ad l.: «expectavi ut faceret uvas, fecit autem spinas»). In
Par. 13.134, entro una serie di
exempla riguardanti la necessità di ricercare il vero con metodi adeguati e senza farsi guidare dalle apparenze, il
pruno è in realtà un cespuglio di rose, che durante l'inverno appare
rigido, con i rami secchi e spinosi,
feroce nell'aspetto e sterile (quale «prunus in hyeme [...] tota spinosa, arida, nodosa», Benvenuto da Imola,
ad l.), e solo
poscia, con lo sbocciare dei fiori, rivela la sua vera natura.
Autore: Elena Felicani.
Data redazione: 26.04.2021.
Data ultima revisione: 06.05.2022.