Commedia |
procella Par. 31.30 (:). |
Prima att.
Latinismo da
procella (DELI 2 s.v.). Il richiamo all'immagine della
tempesta (vd.) o della
nave (vd.) in balìa di essa (es.
Purg. 6.77) per rappresentare un grave sconvolgimento dell'animo, personale o collettivo, è di lunga tradizione. Nel passo dantesco, in partic., si può leggere un richiamo a Boezio: «O iam miseras respice terras / quisquis rerum foedera nectis. / Operis tanti pars non vilis, / homines quatimur fortunae salo» (
De cons. philos., I, m. V, 42-45). L'immagine è già nel Dante lat., in
Mon. 1.16.4: «O genus humanum, quantis procellis atque iacturis quantisque naufragiis agitari te necesse est dum, bellua multorum capitum factum, in diversa conaris!». Dopo Dante e fuori del circuito esegetico del poema, il cultismo ricorre prevalentemente in volgarizzamenti (vd. TLIO s.v.
procella). Il termine è poi impiegato più volte nella poesia petrarchesca; è prob. richiamo al luogo paradisiaco, di cui si recupera la rima (
stella :
procella), l'att. nella canzone
Vergine bella, che, di sol vestita, v. 69 (cfr. ancora
TLIO s.v.; Viel,
«Quella materia ond'io son fatto scriba», p. 325).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 30.04.2021.
Data ultima revisione: 11.06.2021.