Inf. 20.20: lectura Ham.
Latinismo da
lectio (
lectionem) 'lettura' (DELI 2 s.v.
lezione), definito nel
De Vulg. 2.8.3 «passio vel actus legendi», con cui s'intende l'atto del leggere in senso attivo o passivo. Il sost. è att. per la prima volta nell'it. antico in
Bonvesin, Volgari, col valore specif. liturgico di 'lettura ad alta voce di un brano delle Sacre Scritture' (per cui cfr. Isidoro,
Etimol., VI.19.9), mentre rif. al processo di lettura di un testo a scopo critico, l'unica occ. precedente a quella dantesca è nel
Cassiano volg. (cfr. TLIO s.v.
lezione 1). Nell'apostrofe al
lettore (vd.) di
Inf. 20.19-20,
lezione è usato in accezione etimologica con rif. all'episodio drammatico della pena degli indovini, per indicare la personale lettura del passo che implica la capacità di chi legge di meditare e interpretare le informazioni in esso contenute, dalle quali ricavare un insegnamento («prender frutto»), in base alla funzione edificante affidata al poema. A tale proposito,
Francesco da Buti,
ad l., chiosa: «cioè che tu la [[
scil. lezione]] intenda bene». Secondo De Ventura,
Gli appelli all'uditore, pp. 81-100, al lettore, «secondo la pratica letteraria del tempo, poteva essere affidato il compito di trasmettere il testo mediante letture pubbliche, vere e proprie
lecturae dove all'interpretazione dell'esecuzione vocale si accompagnava l'interpretazione allegorica dei vari passi». Il vocabolo ricorre anche nel
Fiore con signif. che rimandano, in diversi contesti fig., all'attività di lettura impartita nell'ambito scolastico (
Fiore 46.3, 151.14, 164.7) o alla serie di nozioni appresa dall'allievo (
Fiore 46.9); altrove assume il senso fig. di 'ammaestramento' (
Fiore 177.7).
Varianti. La var.
lectura, recata da Ham, è semanticamente affine a
lezione, ma non risulta att. altrove nell'accezione di 'esegesi del passo di un testo', con specif. rif. al poema dantesco (vd.
lettura).
Autore: Francesca De Cianni.
Data redazione: 05.12.2023.
Data ultima revisione: 25.03.2024.