| Commedia | lapilli Par. 20.16 (:). | 
                         
                            
                        
                        Prima att. 
Latinismo Il sost., da 
lapillus (DELI 2 s.v. 
lapillo), 
hapax nella 
Commedia, ricorre nell'espressione 
cari e lucidi lapilli, caratterizzata da una ripresa da Ovidio, 
Ars amatoria III 129 (
cariis lapillis), da una allitterazione in clausola (
lucidi lapilli) e dalla rima in 
-illi (con 
flailli v. 14 e con 
squilli v. 18), unica nella 
Commedia (su tutto vd. Inglese, 
ad l.). Il vocabolo si rif. agli spiriti beati del cielo di Giove che appaiono come 'pietre preziose chiare e lucenti' (cfr. 
Nocentini s.v. 
lapillo). Oltre che nei commenti (Jacopo della Lana, Francesco da Buti), il sost. è att. con questo signif. in un testo abruz. del XIV sec. (cfr. 
Cronaca volg. isidoriana; vd. TLIO s.v. 
lapillo). Nei lessici medievali il sost. è di norma spiegato come dimin. di 
lapis, quindi «parvus lapis vel gemma» nel senso di 'piccola pietra'; ma l'accezione 'pietra preziosa' non è estranea ai classici (ED, s.v. 
lapillo). L'occ. dantesca non specifica la dimensione della pietra, bensì ne definisce la preziosità, coerentemente con la simbologia «anima beata-gemma, che è tipica dell'ultima cantica della 
Commedia» (ED, 
Ibidem).
                            Autore: Elena Felicani.
Data redazione: 26.04.2021.
Data ultima revisione: 22.07.2021.