Vocabolario Dantesco
doga s.f.
Commedia 1 (1 Purg.).
Commedia doga Purg. 12.105.
Secondo Nocentini (s.v. doga), il vocabolo proviene dal lat. tardo doga 'vaso', a sua volta dal gr. dokhé 'recipiente' (tra gli strumenti etimologici non vi è tuttavia completo accordo: cfr. DELI 2 s.v. doga e DEI s.vv. doga 1 e doga 2). La parola è ben att. sia nel lat. mediev. sia in it. antico con il signif. di 'ciascuna delle assicelle di legno che costituiscono il corpo di recipienti di vario tipo' (cfr. Du Cange s.v. doga 3, GDT s.v. doga, e TLIO s.v. doga). Nella Commedia il vocabolo è usato a partire da tale valore, ma con un ulteriore scarto. Dante, infatti, utilizza la parola in un passo in cui contrappone implicitamente la Firenze a lui coeva con quella del podestà Rubaconte (eponimo del ponte sull'Arno, chiamato oggi Ponte alle Grazie), nella quale il quaderno (vd.) e la doga erano ancora «sicuri»: egli in tal modo si riferirebbe ad alcuni scandali, che i commentatori antichi puntualmente raccontano (cfr., per es., Ottimo e Anonimo Fiorentino; vd. anche ED s.vv. doga e Rubaconte). Pertanto, la doga alluderebbe a un evento del 1283, rammentato anche a Par. 16.105 («coloro ch'arrossan per lo staio», vd. staio): Durante de' Chiermontesi, funzionario comunale preposto al commercio del sale, rimpicciolì illegalmente la circonferenza dello staio ufficiale - cioè il recipiente autorizzato dal Comune, fatto di doghe di legno, con cui si misurava il sale da vendere ai cittadini - mediante l'asporto di una doga (cfr. anche ED s.v. Chiaramontesi). Essendo il prezzo di uno staio di sale fissato dal Comune, Durante fu così in grado di guadagnare illecitamente su ogni vendita. Doga, dunque, sembrerebbe essere utilizzato, non solo per designare l'assicella (tolta) dello staio del sale e, nel contempo, per sinedd., il recipiente stesso, ma anche per indicare per antonomasia proprio "la" doga di Durante. Ciò troverebbe conferma anche all'esterno del circuito esegetico dantesco: il cronista Paolino Pieri, infatti, nel 1305 ca., identifica in maniera netta ser Durante come «colui che trasse la doga del sale» (Pieri, Croniche, p. 76 e Glossario s.v. doga), con un'espressione - trarre la/una doga dello staio/del sale - che ritorna nei commenti antichi (per es., i già cit. Ottimo e Anonimo Fiorentino) e nell'incipit di una «canzoncella» («Egli è tratta una doga del sale») che, secondo lo stesso Anonimo Fiorentino, fu composta a dileggio dei Chiermontesi (per l'espressione trarre una doga [di una botte], avente prob. a che fare con l'àmbito delle misurazioni, vd. anche Paolo dell'Abbaco, Trattato, 172, p. 143). Infine, è utile segnalare che Riccardo Tesi (Un fiorentinismo) propone per Par. 15.101 di inserire a testo la lezione «doghe contigiate», nel noto passo in cui Petrocchi pubblica «gonne contigiate», a fronte di una trad. manoscritta che presenta compattamente la lezione «donne contigiate». Tesi, riadattando un'ipotesi di Pézard e considerando che doga in tosc. antico poteva indicare anche 'ciascuna delle strisce di colore diverso tra loro di un tessuto o uno stemma' (a tal proposito, cfr. TLIO s.v. doga e vd. dogare), interpreta il sintagma come un tecnicismo fiorentino del linguaggio della moda, che avrebbe il senso di «pezze di stoffa riccamente lavorate da applicare alle vesti femminili» (Tesi cit., p. 17; vd. anche gonna e contigiato).
Autore: Cristiano Lorenzi Biondi.
Data redazione: 26.06.2020.
Data ultima revisione: 21.07.2020.
1 [Con rif. antonomastico a un det. evento:] ciascuna delle assicelle di legno che, opportunamente curvate, costituiscono il corpo di recipienti di vario tipo e (per sinedd.) il recipiente stesso (come strumento ufficiale di misura di un bene).
[1] Purg. 12.105: Come a man destra, per salire al monte / dove siede la chiesa che soggioga / la ben guidata sopra Rubaconte, / si rompe del montar l'ardita foga / per le scalee che si fero ad etade / ch'era sicuro il quaderno e la doga; / così s'allenta la ripa che cade / quivi ben ratta da l'altro girone...