Vocabolario Dantesco
dogare v.
Commedia 1 (1 Inf.).
Commedia doga Inf. 31.75 (:).
Att. solo nella Commedia e cit. nei commentatori. Tuttavia nel sec. XIV, in fior., è att. anche il part. in funzione di agg. dogato (cfr. TLIO s.v. dogato 2), di cui si registrano altre occ. semanticamente interessanti anche nel sec. XV (cfr. GDLI s.v. dogato 1, § 2). Dogare è denominale da doga (vd.), come già riconosce l'Amico dell'Ottimo: «doga è verbo informativo». Pochi commentatori trecenteschi spiegano il verbo, e lo fanno in maniera non univoca: «litiat [[sic, listat?]]» (Guido da Pisa, Deductio textus); «'l corno era sì grande che era come una doga corrispondente al petto del gigante» (Amico dell'Ottimo); «signat, quia tenebat cornu per transversum pectoris» (Benvenuto da Imola). Non attestata nei codici dell’antica vulgata, e quindi non documentata nell’apparato di Petrocchi, è la lezione toga, chiosata «cuopre e veste» in Francesco da Buti e presente nelle edizioni di Landino e Daniello (si osservi, inoltre, che il verbo togare, fatta salva l'occ. tratta da Francesco da Buti, non è altrimenti att. nel sec. XIV). Successivamente, Borghini mette in relazione dogare con «adogare», conferendo al verbo il signif. di «fasciare», poiché la doga altro non è che «una lista stretta et lunga, come una fascia» (Borghini, Scritti, p. 224). Rendono plausibile l'ipotesi di Borghini gli agg. dogato (vd. supra) e addogato (cfr. GDLI e TLIO s.v. addogato), utilizzati in Toscana nel linguaggio della tessitura e dell'araldica, ad indicare un tessuto o uno stemma 'fregiato o tinteggiato a strisce verticali susseguenti di due colori alternati'. Inoltre, lo stesso sost. doga nel Trecento non indicava solo l''assicella di legno (di un recipiente)', ma anche 'ciascuna delle strisce di colore diverso tra loro di un tessuto o uno stemma' (cfr. TLIO s.v. doga). Per l'uso dantesco del verbo, dunque, qui si propone un signif. che si rifà all'uso di doga e (ad)dogato nell'àmbito tessile/araldico, anche se non si esclude che l'immagine del corno «che 'l gran petto [[...]] doga» possa anche evocare per la sua forma l'asse opportunamente incurvata di una botte. Inoltre, è utile segnalare che, secondo Giovanni Villani, nel 1330, «nullo [[vestimento]] addogato né traverso» fu consentito alle donne fiorentine, poiché considerato, insieme ad altri tipi di abiti e stoffe, segno di lusso eccessivo (cfr. Giovanni Villani [ed. Porta], L. 11, cap. 151, vol. 2, p. 709). Il dogare del corno, quindi, sembrerebbe caricarsi di un valore ironico nei confronti del nudo Nembrotto e si appaierebbe all'argine-perizoma (vd.) nel descrivere le sue "vesti". La semantica del verbo e della sua famiglia lessicale, inoltre, parrebbe confortare l'idea che il corno stia appeso in posizione verticale rispetto al petto del Gigante, e non trasversale (vd. supra Benvenuto da Imola).
Autore: Cristiano Lorenzi Biondi.
Data redazione: 29.04.2020.
Data ultima revisione: 30.06.2020.
1 [Con valore iron.:] formare a mo' di ornamento una striscia verticale di colore diverso dal resto.
[1] Inf. 31.75: «Anima sciocca, / tienti col corno, e con quel ti disfoga [[...]]! / Cércati al collo, e troverai la soga / che 'l tien legato, o anima confusa, / e vedi lui che 'l gran petto ti doga».