Prima att.
Latinismo da
delirum, a sua volta da
lira 'solco' (vd. anche
delirare; cfr. Isidoro,
Etimol., X.78: «Delirus, mente defectus [...] quod a recto ordine et quasi a lira aberret» e Giola,
La lessicografia mediolatina, p. 201, n. 41), vale 'amens, demens' (TLL s.v., 5, 1, 466.77) e si riscontra nel mediolatino anche col signif. di 'stolto' (cfr. Viel,
«Quella materia ond'io son fatto scriba», p. 239). Nel brano dantesco, l'agg., in rima con
ammiro [v. 97] e
sospiro [v. 99], esprime la perdita di controllo razionale del figlio verso cui è rivolta l'espressione preoccupata e premurosa della madre; immagine che rende efficacemente l'atteggiamento del volto di Beatrice verso Dante. Così chiosano i commentatori antichi:
Francesco da Buti: «stolto: delirare è dal solco della verità uscire, come esce lo bue del solco quando impazza e non è obbediente al giogo», Benvenuto da Imola, accostando
deliro al disaccordo della lira dissonante: «qui delirare videtur ad modum senis. Deliri enim proprie appellantur senes in quibus distemperata est harmonia virtutum animalium, sicut in lyra dissona discordant chordae a proportione debita». Una parte dell'esegesi moderna intende 'sviato, in errore' o 'sciocco' (cfr. Mattalia), un'altra, molto più ampia, riconduce l'agg. al delirare per febbre o per malattia (vd.
ED s.v.). Dopo Dante, il vocabolo ricorre in
Boccaccio, Corbaccio e soprattutto nella lirica del Trecento, dove si trova att., tra gli altri testi, in
Petrarca, Canzoniere e in
Ristoro Canigiani, Ristorato, in quest'ultimo in rima con
sospiro (cfr.
Corpus LirIO; Corpus TLIO).
Autore: Francesca De Cianni.
Data redazione: 01.02.2019.
Data ultima revisione: 08.05.2022.