mirrare v.
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Commedia |
mirro Par. 6.48 (:). |
Nota:Prima att. Denominale di
mirra (vd.), già considerato
neologismo da Di Pretoro,
Innovazioni lessicali (p. 28) e, più recentemente, da Viel,
«Quella materia ond'io son fatto scriba» (pp. 115-116). Il verbo, preceduto dal lat. scritturale
myrrathus (
vinum myrrathum, 'trattato con mirra', come ricorda Inglese,
ad l.), è costruito sul modello del verbo
incensare e fa parte del lessico raro, prezioso e solenne che caratterizza il discorso di Giustiniano (vd. ad es., in rima con
mirro, il latinismo
cirro). Il verbo è chiosato variamente dai commentatori. L'interpretazione prevalente nel Trecento è 'cospargere di mirra' (con rif. all'antica usanza di conservare in questo modo il corpo dei defunti): nell'
Ottimo commento si legge ad es. «onoro con fama odorifera, come si coronarono anticamente li poeti». A partire da
Francesco da Buti (
ad l.), si diffonde tuttavia anche l'interpretazione di
mirrare come
mirare («cioè miro, cioè lodo io Iustiniano; ma è scritto per due
r per la consonanzia della rima»), seguita da vari commentatori, tra cui Daniello.
Mirrare è att. esclusivamente nella
Commedia e nei commentatori (vd. TLIO s.v.
mirrare).
1 Celebrare solennemente qno, ricordandolo nel tempo (
fig.). || Propr. Ungere di mirra.
[1] Par. 6.48: Sai quel ch'el fé portato da li egregi / Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro, / incontro a li altri principi e collegi; / onde Torquato e Quinzio, che dal cirro / negletto fu nomato, i Deci e ' Fabi / ebber la fama che volontier mirro.
Autore: Chiara Murru 26.04.2021 (ultima revisione: 29.10.2021).