Latinismo da
gurges (DEI s.v.
gurge), che propr. indica 'il punto più profondo di un fiume o di uno specchio d'acqua (in cui si generano vortici)' (cfr. TLL s.v.
gurges, 6.2, 2359.65; cfr. anche Isidoro,
Etimol., 13, 21.5: «Gurges proprie locus altus in flumine»). Il termine è ben noto alla poesia virgiliana, dove ricorre con i valori estens. di 'mare (o fiume) burrascoso', 'onda', 'corrente impetuosa' ecc. (tra i vari ess., è senz'altro celebre – tanto da aver acquisito valore prov. – il v. «[...] rari nantes in gurgite vasto» di
Aen. 1, 118). I volgarizzatori trecenteschi del poema lat. tendono a rendere
gurges con i traducenti
alto mare,
onda o
pelago, a seconda dei contesti (cfr.
Corpus CLaVo). Fa eccezione Ciampolo di Meo Ugurgieri, che nella sua
Eneide volg. accoglie più volte il latinismo (es. «quando di prima i cavalli del Sole si lievano alti nell'alto gurge» ivi, L. 12, 470; lat.: «cum primum alto se gurgite tollunt / Solis equi»
Aen. 12, 114-115; cfr. anche
Corpus OVI). In tale testo – databile, secondo la recente ed. Lagomarsini, agli anni 1315-1321 –
gurge conta prob. la sua prima att. in it. antico (benché si tratti di un uso non originale, indotto dal testo lat. di partenza). Nella
Commedia gurge occorre un'unica volta (:
urge :
turge). Il raro cultismo, impreziosito dall'attributo
miro (vd.), altrettanto ricercato, indica l'impetuosa
fiumana (vd.) di luce composta da «faville vive» (v. 64), cioè dai beati: un'immagine che continua quella del «lume in forma di rivera» del v. 61. Nei testi successivi,
gurge resta di uso rarissimo e limitato al circuito degli esegeti del poema (vd.
TLIO s.v.). Questi ultimi chiosano il sost. dantesco prevalentemente con 'fiume', mentre
Iacomo della Lana, forse con richiamo a Isidoro, predilige «logo profundo» (
ad l.). In Dante è att. anche
gorgo (vd.).