forare v.
Nota:Dal lat.
forare (Nocentini s.v.
forare). La struttura semantica della voce dantesca ricalca quella che si riscontra in it. antico, in cui
forare è ben att., e si spiega a partire dall'ogg. retto dal verbo, che può essere un volume o un materiale inanimato (§
1) o una persona e il suo corpo fisico nelle sue varie parti (§
2); in questo secondo caso il verbo significa 'ferire profondamente o trafiggere' (cfr. TLIO s.v.
forare). Per quanto riguarda il signif.
1, il verbo ricorre con il suo valore proprio a
Inf. 34.108, in cui il «vermo reo» Lucifero occupa il centro della Terra, perforandolo da parte a parte. Tuttavia già
Francesco da Buti (
ad l.) non manca di osservare che, «come il vermo rompe e rode e guasta lo legno; così elli [[Lucifero]] corruppe il mondo», mostrando una connessione del verbo
forare con l'azione rovinosa degli insetti che guastano un materiale e con la corruzione morale, e suggerendo quindi la possibilità che nel passo dantesco il verbo possa alludere metaforicamente anche ai signif. di 'tarlare' e 'guastare spiritualmente', che comunque in it. antico gli appartengono (cfr. ancora
TLIO s.v. e GDLI s.v., § 4; vd. anche
vermo). Inoltre, nella voce dantesca, vale isolare, poiché in consonanza con altre att. antiche (anche con uso prov.), il caso in cui
forare si riferisce all'azione erosiva dell'acqua (
Inf. 14.14; cfr., per es.,
Boccaccio, Filocolo e
Paolo da Certaldo in TLIO s.v.
forare). Peculiare di Dante, invece, è l'uso che si riscontra a
Purg. 13.70: in tale passo, sebbene l'ogg. del verbo («i cigli») sia passibile di subire più una ferita che una perforatura, il contesto («fóra e cusce»: vd.
cuscire) di fatto lo equipara a una pezza di tessuto; ciò fa sì che l'azione descritta da
forare sia semanticamente riconducibile sotto il signif.
1 piuttosto che sotto il signif.
2. A
Inf. 31.37 (§
1.1), i commenti talvolta non sono concordi sull'interpretazione del sogg. dei ger.
forando e
appressando: per es., Bellomo afferma che il sogg. logico è lo sguardo di Dante, mentre Inglese commenta che «il sogg. 'io' si ricava da
fuggìemi ecc. del v. 39». Nella definizione qui proposta si segue la seconda ipotesi, confortata da Ageno, che annovera il passo tra i casi in cui «il sogg. non espresso del ger. assoluto si estra
e da un dativo che fa parte della sovraordinata» (cfr. ED,
Appendice, s.v.
verbo,
§ Gerundio, p. 303). Tuttavia la similitudine dantesca, che ha come primo termine «lo sguardo» (v. 35), si regge solo se, pur essendo considerata come sogg. di
forando la prima pers. sing., l'azione espressa dal verbo viene interpretata come implicitamente compiuta tramite gli occhi (cfr., per es., Chiavacci Leonardi
ad l.). Per questo motivo, il verbo pare acquisire il signif. fig. di 'penetrare con lo sguardo', anch'esso un
unicum nel panorama della doc. antica di
forare. Nella
Commedia sono att. anche
foracchiato (vd.),
forato in funzione di agg. (vd.) e
fóro (vd.).
Autore: Cristiano Lorenzi Biondi 29.02.2020 (ultima revisione: 30.06.2020).