Dal
prov. baudeza (LEI,
Germanismi s.v.
bald, 1.115, 40 e 6-15), ma con il suffisso indigeno (Cella,
I gallicismi, p. 152 e 338). In it. antico
baldezza e il suo concorrente
baldanza (vd.) denotano un senso di sicurezza allegra, nel primo caso, più spesso esuberante, nel secondo (cfr. TLIO s.vv.
baldanza e
baldezza). Su questa base Dante specializza ulteriormente l'uso dei due vocaboli: se la
baldanza (vd.) continua a far riferimento a un senso di sicurezza nei propri mezzi e possibilità, la
baldezza fa riferimento alla fermezza di un animo franco e probo. Se quella si riflette in un atteggiamento gaio e disinvolto, questa si traduce in un contegno lieto e fiero (per la differenziazione semantica dei due lessemi nella
Commedia, cfr. anche
ED s.v.
baldezza e
baldanza). Nell'uso dantesco,
baldanza (vd.) è ancora sotto il peso della tradizione lirica precedente, restando vocabolo legato alla dimensione fisica (cfr. Vallone,
«Baldanza», p. 326), laddove
baldezza assume un carattere intimo e morale, e si presta a rispondere perfettamente all'esortazione di Cacciaguida di
Par. 15.67 (per cui vd.
baldo). Fa eccezione l'att. di
Rime 52.8 dove il lessema vale 'ardire e confidenza nelle proprie forze' (De Robertis,
Rime, ed. comm., p. 344), ma si noti che è poi sostituito da
baldanza nella redazione definitiva del sonetto attestata nella tradizione estravagante (De Robertis,
Rime, 3, p. 367-368). A
Par. 32.109
baldezza, insieme a un altro tecnicismo della tradizione cortese (
leggiadria [vd.]), è utilizzato per indicare la nobile grazia dell'arcangelo Gabriele. Il lessema compare anche a
Conv. 4.5.5 dove, in probabile endiadi con
onore, è riferito a Maria e vale 'lieta fiducia' (cfr. ED s.v.
baldezza) o, riecheggiando
Idt 15,10, 'letizia'.
Autore: Francesca De Blasi.
Data redazione: 13.07.2018.
Data ultima revisione: 13.07.2018.