Il verbo
smagare è ben att. «tanto in poesia (a partire da Brunetto, «non ti smagar»,
Tesoretto v. 1690) quanto in prosa (a partire dal
Tesoro volg., «si smaga de' vizii», VII cap. 5 vol. 3 pag. 229.4 e dai
Conti morali, «io me ne smago», ed. Zambrini 10 pag. 69.12)» (Cella,
I gallicismi, p. 122). Interpretato variamente dai commentatori e dai traduttori, che dimostrano incertezza circa il suo signif. nelle occ. dantesche (come notava già Austin,
A word unprotected, p. 503), il
gallicismo smagare è connesso alla radice con pref. privativo
*exmagare (dal
germ. *magan ‘avere forza’) (DEI s.v.
smagare). Nella
Commedia, a
Par. 3.36 ricorre con il signif. di 'togliere le forze, indebolire' (
1), che è alla base della glossa di Francesco da Buti, il quale interpreta 'consuma', seguito da molti altri fino a Inglese (
ad l.). Rel. a questo signif., si veda anche l'agg.
smagato. Il signif.
2 è frutto di uno slittamento semantico che da 'indebolire' porta a 'venire meno, distogliersi (da qsa)': la costruzione sintattica
smagarsi da/di qsa, già in Brunetto Latini,
Tesoretto (v. 1690: «non ti smagar di loco», col signif. di 'non ti partire, non ti allontanare'), ricorre nella
Commedia sia col signif. di 'allontanarsi, distogliersi' da un oggetto (lo specchio da cui Rachele non allontana mai lo sguardo, a
Purg. 27.104), sia nel senso fig. di 'distogliersi da un proponimento' («prima ancora di descrivere la pena delle anime che vede avvicinarsi, Dante previene il suo lettore perché non se ne lasci intimorire, e sviare dal buon proponimento», spiega Chiavacci Leonardi,
Purg. 10.106). Col signif. di 'togliere le forze', 'indebolire' ricorre anche in
Vn 23.17-28.37, con quello di 'venire meno' ricorre in
Vn 12.10-15. Lo stesso spettro di significati è ricoperto anche dall'intensivo
dismagare (vd.), che peraltro in Ash vede la lezione «si smaga» al posto di «dismaga» a
Purg. 3.11.
Autore: Chiara Murru.
Data redazione: 27.08.2019.
Data ultima revisione: 04.05.2020.