Prima att. , ma l'agg.
muso, che deriva dal sost., è già att. in
Bonvesin, Volgari, XIII tu.d. col signif. di 'restio all'azione, pigro' («Zené sta otïoso, repossa e perde 'l tempo, / Sta mus, imbrega li oltri, e quest è argumento / K'el è tut plen de vitio e de re scaltrimento»; cfr. TLIO s.v.
muso 2, 1.1). Dal lat. tardo
musus (DELI 2 s.v.
muso), che conosce molti continuatori in area romanza (cfr. Viel,
«Quella materia ond'io son fatto scriba», p. 301). Nella
Commedia la voce
muso è impiegata con due diverse sfumature semantiche, l'una delle quali relativa alla parte anteriore della testa di un animale e l'altra, con valore estens. e con connotazione perlopiù spregiativa, relativa al volto umano. Nelle occ. di
Inf. 22.26,
Inf. 32.32 e
Purg. 3.81, il sost. ricorre all'interno di similitudini tra il mondo animale e alcune anime infernali e purgatoriali. A tali occ. è accostabile quella di
Inf. 22.106, stavolta rif. al
muso (canino?) del diavolo Cagnazzo, forse chiamato così proprio perché i suoi connotati sono simili a quelli di un cane (cfr.
cagnazzo e la bibliografia ivi cit.). Per tale occ., cfr. anche il commento di
Francesco da Buti («
Cagnazzo a cotal motto levò il muso:
muso propriamente si dice la bocca del cane, et a questo demonio fu dato di sopra la figura del cane») e di Chiavacci Leonardi («
levò 'l muso: come fa appunto il cane da caccia quando fiuta la preda»)
ad l. Alle fattezze bestiali dei dannati fanno invece rif. le att. di
Inf. 18.104,
Inf. 25.123 e
Inf. 25.130. Nello specif., il
muso di
Inf. 18 è quello dei lusingatori che, immersi nello sterco, talvolta
scuffano, cioè sollevano il capo e soffiano rumorosamente con la bocca e le narici alla stregua di maiali (vd.
scuffare). Ancora più pregnanti sono le due occ. di
Inf. 25, dove il sost.
muso rende l'idea dei ladri che, condannati a subire un'eterna e ciclica metamorfosi in serpenti, si ritrovano il viso e il resto del corpo sfigurati in tratti. Si noti, peraltro, come in tutte le occ. qui cit.
muso può anche assumere i signif. estens. di 'parte anteriore della testa' o 'testa'. Con analoghi signif. è att. anche il sost.
ceffo (a
Inf. 17.50 nel senso di 'parte anteriore della testa di un animale', a
Inf. 34.65 nel senso di 'volto umano'), che però, come segnalato dall'antica esegesi, parrebbe maggiormente circoscritto in diatopia (cfr.
Iacomo della Lana a
Inf. 17.50: «
çeffo in lengua toscana si è 'muso'»). Il sost.
muso nei sec. successivi ha goduto di una grandissima e ininterrotta fortuna, sia in letteratura sia nell'uso comune, in entrambe le accezioni, arrivando ai giorni nostri come parola di "alto uso" (cfr.
TLIO e GDLI s.v.
muso 1; GRADIT s.v.
muso). Tuttavia, non è possibile attribuire al solo Dante la sopravvivenza di questa voce poiché essa, data la sua connotazione popolare, avrà certamente conosciuto una più antica e ampia circolazione sotterranea.
Locuz. e fras. L'occ. di
Purg. 14.48, inserita nell'espressione
torcere il muso, arricchisce l'immagine dell'Arno personificato che, alla vista della città di Arezzo, storce disgustato il viso e, per evitarla, fa una brusca curva a gomito e torna indietro verso nord-ovest, dando origine al Valdarno superiore. A tal proposito, cfr., tra gli altri, Pasquini-Quaglio e Chiavacci Leonardi
ad l., che però associano piuttosto il gesto a quello di un animale infastidito da qsa («personificazione animalesca del fiume»; «Il fiume dunque si allontana sdegnoso, quasi bestia che distorce il muso da qualcosa di schifoso»). Il sintagma
torcere il muso, rif. a questa partic. espressione del volto umano, è di prima att. dantesca ma era prob. già diffuso in contesto popolare al pari di
muso. Del resto, anch'esso ha conosciuto un'amplissima diffusione ed è giunto sino ai giorni nostri: il GRADIT, s.v.
torcere, lo registra come di "uso comune" al pari di
storcere il naso, di signif. analogo (cfr. GRADIT s.v.
storcere).
Autore: Francesca Spinelli.
Data redazione: 05.05.2025.
Data ultima revisione: 29.11.2025.