Att. solo in Dante e nei commentatori. (
Conv.). Dal
lat. tardo
circulatio (
circulationem), derivato di
circulari (Nocentini s.v.
circolo).
Hapax dantesco che, prima della
Commedia, presenta dieci occ. nel
Conv. e un'occ. in
Rime 104, ovvero nel sonetto
Io sono stato con Amore insieme inviato da Dante a Cino da Pistoia insieme all'
Ep. 3. Il lemma compare innanzitutto come tecnicismo astronomico in
Conv. 2.4.3, dove vengono riportate le opinioni di alcuni filosofi, tra cui Aristotele, sull'equivalenza tra numero delle intelligenze motrici e numero delle «circulazioni», ovvero degli astri dotati di moto circolare, per cui non potrebbero esistere intelligenze non preposte al moto (per le fonti vd. Nardi,
Convivio,
ad l. e Fioravanti,
Convivio,
ad l.). Il vocabolo si ritrova poi in altri passi del
Conv., dove Dante fa ancora rif. alle teorie di Aristotele sulle sostanze separate (vd.
Conv. 2.4.13; 2.5.16; 2.5.19; 2.6.5) ed è impiegato altrove anche con accezioni più specif., ad es. per indicare il moto del cielo di Venere e i suoi effetti (vd.
Conv. 2.8.5) o rel. al cielo delle Stelle Fisse (vd.
Conv. 2.14.10 e 2.14.12, con 2 occ.). La sfumatura semantica è più marcatamente astrologica a
Conv. 4.2.7, quando Dante spiega l'effetto del movimento degli astri sulle complessioni umane, mentre a
Rime 104.2 il richiamo alle nove «circulazion del Sol» indica un arco di nove anni, descritto perifrasticamente attraverso i nove giri compiuti dal Sole attorno alla Terra (vd. anche
circulare 1). Soprattutto nei passi del
Conv., i rif. ad Aristotele permettono di individuare nel lemma un tecnicismo mutuato dal
Corpus Aristotelicum, e infatti numerosissimi sono gli impieghi di
circulatio nello Stagirita, spec. nel
De coelo, ma anche nei suoi commentatori (vd. il corpus
Aristoteles Latinus Database e anche MLW, s.v.
circulatio per i testi successivi). Il vocabolo presenta inoltre due occ. nel Dante lat., una in
Mon. e un'altra nella
Quaestio, e in entrambi i casi indica ancora il moto celeste. L'impiego a
Par. 33.127 presenta invece uno scarto semantico rispetto alle altre opere dantesche:
circulazione perde infatti il legame con le intelligenze motrici e il movimento degli astri ma viene rif. al secondo dei «tre giri» (v. 116) che rappresentano la Trinità, ovvero il Figlio, il quale pare generarsi direttamente dal primo, che simboleggia il Padre. Per Pietro Alighieri (red. III),
ad l. e Benvenuto da Imola,
ad l. il lemma sarebbe quindi sinon. di
circulus, 'cerchio', mentre
Francesco da Buti,
ad l., sottolinea l'idea di perfezione sottesa ai tre cerchi della Trinità, richiamata anche dal loro movimento eterno «imperò che, come nel giro non è principio, nè fine; così ne le tre persone de la Divinità». Il termine è quindi una var. dotta per
giro (vd.) e, insieme all'
hapax «circunspetta» del v. 129 (vd.
circunspetto), denota un innalzamento stilistico a ridosso della visione finale di Dio e insiste transuntivamente sulla figura del cerchio come simbolo di eternità e perfezione (vd. i commenti di Mattalia,
ad l. e Pasquini-Quaglio,
ad l.). Nonostante il vocabolo non sia inizialmente att. al di fuori del circuito dantesco, esso viene ampiamente impiegato dai commentatori anche in contesti diversi da
Par. 33.127 e assume signif. spesso indipendenti da quelli danteschi, venendo talvolta a indicare il moto circolare dell'aria oppure la disposizione circolare delle anime (vd.
TLIO s.v.). A livello formale, va notato infine che il termine mantiene sempre la
-u- etimologica, sia nelle edd. delle opere di Dante, sia nei commentatori.
Autore: Sara Ferrilli.
Data redazione: 15.02.2024.
Data ultima revisione: 25.03.2024.