Al pari degli allotropi
claustro (vd.) e
chiostra (vd.), deriva dal lat.
claustrum ‘recinto, luogo chiuso’, che nel Medioevo, in ambito religioso, passò ad indicare il cortile interno di un monastero o di un convento e, per sineddoche, l’edificio stesso (cfr. Du Cange s.v.
claustrum). Utilizzato nel
Fiore nel senso di ‘monastero’,
chiostro anche nella
Commedia sembra generalmente riferirsi all’edificio in cui abita una comunità religiosa, per quanto le occ. dantesche possano comunque talvolta evocare anche il signif. più specifico di ‘cortile del monastero’, ben documentato nei testi volgari dell’epoca (cfr. TLIO s.v.
chiostro). Tra i passi danteschi in cui ricorre il lemma, il
chiostro di
Purg. 26.128 richiama alla mente un luogo della
Summa Virtutum et Vitiorum di Guglielmo Peraldo (cfr. Mancini,
Un’«auctoritas», p. 147): «Primum claustrum fuit in coelo, in quo ipse Deus abbas fuit» (
De luxuria, II, II, 9). Inoltre, in base alla doc., Dante risulterebbe il primo ad attribuire al lemma privo di agg. il signif. figurato di ‘
Paradiso’ (vd.), l’
hortus per antonomasia, forse, anche in questo caso, suggerito non solo dal valore di ‘monastero, convento’ ma anche da quello di ‘cortile (di un convento o di una casa), giardino recintato’ (cfr. ancora TLIO s.v.
chiostro). Con lo stesso signif.,
chiostro ricorre anche insieme all'agg.
beato (vd.), similmente a ciò che accade in «beato concilio» (
Purg. 21.16; vd.
concilio) e «beato regno» (
Par. 1.23; vd.
regno).
Autore: Cristiano Lorenzi Biondi.
Data redazione: 19.10.2018.
Data ultima revisione: 04.05.2018.