Vocabolario Dantesco
chiostra s.f.
Commedia 3 (1 Inf., 1 Purg., 1 Par.).
Commedia chiostra Inf. 29.40 (:), Purg. 7.21 (:), Par. 3.107 (:).
Deriva dal neutro pl. lat. claustra ‘serratura, barriera, luogo chiuso, prigione’. Già presente come femm. nella poesia del sec. XIII, anche in senso figurato (cfr. TLIO s.v. chiostra), il sost. è usato da Dante sempre in posizione di rima e con rif. agli spazi chiusi e circoscritti (quasi dei recinti) dell’Inferno in cui i dannati scontano la loro pena (Inf. 29.40 e Purg. 7.21), prob. non senza un riflesso del signif. religioso, che si allude laddove i dannati della decima bolgia (Inf. 29.41) sono chiamati metaforicamente «conversi» (vd. converso). L’uso di chiostra ‘dimora di una comunità religiosa’ (Par. 3.107), in luogo del più abituale chiostro (vd.), pur privo di precedenti volgari, trova riscontro nel lat. mediev. (cfr. Du Cange s.v. claustrum, dove claustra, al femm., si registra anche nelle espressioni Claustra Monachorum, Claustra Canonicorum e Claustra Clericorum).
Autore: Cristiano Lorenzi Biondi.
Data redazione: 14.06.2017.
Data ultima revisione: 15.05.2018.
1 Spazio circoscritto e chiuso (detto di una bolgia o di un cerchio infernale).
[1] Inf. 29.40: Quando noi fummo sor l'ultima chiostra / di Malebolge, sì che i suoi conversi / potean parere a la veduta nostra, / lamenti saettaron me diversi, / che di pietà ferrati avean li strali...
[2] Purg. 7.21: S' io son d'udir le tue parole degno, / dimmi se vien d'inferno, e di qual chiostra.
2 Dimora di una comunità religiosa.
[1] Par. 3.107: Uomini poi, a mal più ch'a bene usi, / fuor mi rapiron de la dolce chiostra: / Iddio si sa qual poi mia vita fusi.