Dal
lat. cithara (
gr. kithara), attraverso il lat. volg.
citera (Nocentini s.v.), il termine è doc. in it. antico sia nella forma
cetera, sia con sincope della vocale postonica, come nel moderno
cetra. Il termine ha la sua prima att. in
Ritmo S. Alessio e rivela numerose occ. nei testi delle Origini, dove indica gen. uno strumento a corda, solo in alcuni casi riconducibile alla cetra antica (vd.
TLIO s.v.). Bisogna infatti rilevare una notevole ambiguità tra
cetra e
chitarra (o
citara) nei testi del Due e Trecento: tali termini talvolta sono considerati sinon., anche in virtù della comune etimologia, ma indicano in realtà strumenti diversi, sebbene, data l'esiguità dei dettagli presenti nei vari contesti, sia difficile circoscrivere esattamente a quale strumento fa rif. ciascun vocabolo (vd. LmL s.v.
cithara; TLIO s.v.
chitarra). Analizzando le occ. dantesche relative a tali cordofoni, si evince infatti che Dante distingue varie tipologie: nel
Convivio egli impiega la forma
cetera per quattro volte riferendosi generic. a uno strumento a corde suonato da un
citarista (vd.
citarista e la relativa
Nota) che solo in un caso, ovvero a
Conv. 2.1.4, potrebbe essere identificato con la cetra antica, in quanto l'atto del suonare è rif. a Orfeo. A quest'ultima si oppone, ancora nel
Convivio, la
chitarra, per la quale Dante sostiene che «sarebbe biasimevole [...] fare uno nappo d'una bella chitarra» (
Conv. 1.8.9), ovvero realizzare un contenitore a partire dalla cassa armonica, segno che tale strumento, a differenza della cetra, aveva una cassa concava (vd. ED s.v.
cetra e
chitarra). Nella
Commedia ricorre soltanto
cetra: il lemma si trova a
Par. 20.22 a fine verso ed è rif. a uno strumento provvisto non solo di cassa armonica, ma anche di un «collo», ovvero di un manico. Che si tratti di un cordofono è confermato più avanti a
Par. 20.142, dove si descrive l'azione del musicista che fa vibrare le corde accordandole alla melodia del cantore. Qui, in un canto costellato da riferimenti musicali, Dante descrive il momento in cui, dopo un breve silenzio, riprendono a parlare le anime degli spiriti giusti, disposte a forma di aquila, e paragona il prodigio dell'aquila parlante alla modulazione del suono che si realizza pigiando le corde sul manico della cetra o chiudendo e aprendo i fori delle canne della zampogna. Poiché nella similitudine il paragone è istituito tra il collo dell'aquila e la tastiera dello strumento, la
cetra non può essere l'omonimo strumento antico ma un cordofono provvisto di manico, come ad es. il
liuto (vd.
leuto) o la
citola, entrambi caratterizzati da cassa armonica piriforme (vd. DEUMM s.v.
citola). L'ambiguità terminologica trova conferma in alcuni commenti antichi, tra cui
Iacomo della Lana (Rb), per il quale il vocabolo indica «quello strumento che cum le dide se suona come cedera over chiatarra, over leuto o viola etcetera» (e vd. anche
Ottimo,
ad l.), mentre in altri esegeti il lemma è considerato sinon. di
chitarra e vengono fornite minuziose descrizioni del suo funzionamento, come avviene in
Francesco da Buti,
ad l., il quale spiega che il suono viene prodotto «toccandosi le corde co la penna e co la mano» e aggiunge che il manico è il punto «dove tiene lo sonatore le dita de la mano sinistra, stringendo le corde al legno, or coll'uno dito, or coll'altro, et or con più anche».
Autore: Sara Ferrilli.
Data redazione: 08.01.2024.
Data ultima revisione: 12.07.2024.