Vocabolario Dantesco
candente agg.
Commedia 1 (1 Par.).
Commedia candente Par. 14.77 (:).
Latinismo da candens (LEI s.v. candere/candire, 10, 814.25). Il primato dell'att. volg. è forse da attribuire al sen. Ciampolo di Meo Ugurgieri, autore di una traduzione dell'Eneide databile, secondo la recente ed. Lagomarsini, agli anni 1315-1321; in tale testo, tuttavia, l'uso del cultismo è indotto dall'opera originale, che ha proprio «candente favilla» (Aen. 3, 573; cfr. Corpus DiVo). In lat. candere vale propr. 'essere bianco splendente' ma è diffuso anche il signif. di 'essere infuocato, incandescente' (cfr. TLL s.vv. candeo, 3, 234.3, e candens 3, 234.41; Cecchini, Uguccione, C 29, 1: «idest albere vel calere; et est tractum a ferro quod candere ponatur pro calere, quia ferrum quanto candidius tanto calidius»). In volg., non diversamente, l'agg. candente può qualificare un metallo: cfr. per es. il «rame candente» dell'Ottimo commento o il «fierro cannente» dell'Anonimo romano (vd. TLIO s.v.). L'attributo dantesco di Par. 14.77 assegna dunque al terzo gruppo di spiriti beati che appare nel cielo del Sole un chiarore incandescente (Ageno, Paradiso XIV 77-78, p. 120), e stabilisce così, anche sul piano del lessico, un nesso con lo «sfavillar del Santo Spiro» del v. 76 (vd. anche sfavillare, Nota). Nello stesso canto, cfr. anche candore (vd.): «sì come carbon che fiamma rende / e per vivo candor quella soverchia...» (Par. 14.52-53). Alla stessa famiglia appartiene anche l'agg. candido (vd.).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 13.10.2020.
Data ultima revisione: 02.11.2020.
1 Che risplende nel suo eccezionale candore.
[1] Par. 14.77: Oh vero sfavillar del Santo Spiro! / come si fece sùbito e candente / a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!