Att. solo in Dante e nei commentatori. (
Fiore 185.10). Il vocabolo, secondo ciò che si deduce dal LEI, sarebbe un derivato di
bor(r)a 'cavità naturale o artificiale' (vd. anche
infra), a sua volta dalla radice preromanza
*bor(r)-/*bur(r)- 'corpo di forma tondeggiante o cavo' (LEI s.v., 6.1112.7-26, 1163.30-1164.14 e 8.697.27-31). Nocentini (s.v.
buio) e molti commentatori moderni (per es., Inglese), tuttavia, riportano l'origine del vocabolo al lat. volg.
*burius 'scuro, buio'; a tal proposito, buona parte dei commentatori antichi, forse complice il contesto dantesco stesso (
Inf. 34.99), glossa il termine sottolineandone il tratto caratteristico dell'oscurità (cfr. Iacomo della Lana,
Chiose Selmiane, Pietro Alighieri [red. III], Benvenuto da Imola e
Francesco da Buti). Oltre il
Corpus OVI,
bora e
burella, con il signif. di 'fossa' o 'cantina', sono att. (anche in toponimi) soprattutto in area sett. (cfr. LEI cit.; Du Cange s.v.
bora; Muratori,
Antiquitates, II, coll. 1174-75); a Firenze, invece,
burella si afferma in molti doc. lat. d'archivio dei secc. XI-XIII, a indicare i resti, situati in particolari zone della città, delle camere radiali del teatro e dell'anfiteatro romani, che nel corso dei secoli vennero inglobati negli edifici privati cittadini e che, dotati di un soffitto a volta e privi di finestre, furono utilizzati come cantine, celle o stanzini adibiti a vario uso (per i doc. si rinvia a Barbi,
«Burella» e «cammino ascoso»; Roncaglia,
Parlasio, Guardingo, Burelle; Toybnee,
"Camminata di palagio" and "natural burella"). Questo sarebbe il signif. da cui deriverebbere l'uso del termine nella
Commedia, secondo la valida ricostruzione di Barbi (cit.): infatti, l'opposizione di
burella (
borella nei sett. Mad e Urb) con un altro termine afferente al lessico dell'architettura civile e cittadina, cioè
camminata (vd.), conforta l'idea che Dante nel passo sfrutti il vocabolo a partire dal suo valore originario di 'ambiente sotterraneo e buio di un edificio (gen. ad uso di cantina o di cella)'. Al tempo stesso, tuttavia, la presenza dell'agg. «natural» (vd.
naturale) rimarca il fatto che la
burella infernale non sia una struttura artificiale, bensì il medesimo ambiente identificato da
loco vòto e da
tomba ai vv. 125 e 128, cioè lo spazio vuoto lasciato dalla terra per far posto alle «zanche» di Lucifero (per un approfondimento, vd.
tomba). Pertanto, alla luce degli elementi contestuali in cui è inserita, la (
natural)
burella viene ad assumere il signif. di 'cavità (naturale) sotterranea e oscura': come afferma Barbi, Dante «si trovò a dover camminare, non diciamo per una bella sala da ricevimento di palazzo signorile, e neppure per una cella costruita per uso umano, ma per una volta sotterranea, così com'era stata fatta dalla natura» (Barbi cit., p. 251). Lo studioso, al tempo stesso, chiarisce come la chiosa di 'carcere', utilizzata da alcuni commentatori antichi e moderni (cfr.
Chiose Selmi,
Chiose Selmiane, Pietro Alighieri [red. III]; Toybnee cit.)
, non sia perfettamente attinente al passo dantesco. Tale glossa, infatti, si deve al fatto che a Firenze uno degli ambienti sotterranei sopra descritti fu tenuto in affitto dal Comune stesso per una delle sue carceri ordinarie, assumendo per antonomasia il nome proprio di
Burella, anche nelle forme
Borella/
Burrella (ancor oggi esiste via delle Burella). Ciò fece sì che dalla fine del sec. XIII il sost.
burella a sua volta potesse assumere anche il signif. di 'prigione', che, sempre secondo Barbi, sarebbe adatto per l'att. di
burella in
Fiore 185.10 (corrispondente al fr.
prison), sebbene altri per il medesimo passo abbiano proposto la glossa di 'nascondiglio' (cfr. ED s.v.
burella e, da ultimo, Formisano,
Fiore,
ad. l.).
Autore: Cristiano Lorenzi Biondi.
Data redazione: 20.04.2020.
Data ultima revisione: 30.06.2020.