Dal lat.
lilius (DELI 2 s.v.
giglio), il sost. è precocemente att., in senso propr. e in contesto fig. (per indicare castità, purezza, innocenza; con questa accezione ricorre già a partire dal XII sec.,
Ritmo S. Alessio, cfr. TLIO s.v.
giglio). Nelle sei occ. della
Commedia, mantiene il signif. propr. solo in
Purg. 29.146: nella sezione finale del canto, che racchiude anche l'immagine della processione mistica (cfr. ED s.v.
processione mistica), sono presentati i sette annunciatori degli ultimi libri della rivelazione cristiana, raffigurati con il capo coperto da corone non di gigli, ma di rose e di altri fiori di color vermiglio (
Purg. 29.148)
. Richiamando la tradizione biblica, a
Par. 23.74 Dante utilizza il sost. con valore estens. per alludere agli apostoli nella visione paradisiaca, dove corpi e volti non possono essere rappresentati se non con luci e fiori tali da rendere «sensibile la presenza di creature spirituali» (cfr. Chiavacci Leonardi,
ad l.). Su questa interpretazione concordano quasi tutti i commentatori antichi e moderni: pochi estendono il rif. anche ai santi e ai martiri, come massima espressione di candore e carità (Benvenuto da Imola,
ad l.: «son li gigli, idest, sancti apostoli, martyres et confessores»; per ulteriori commenti, vd. ED s.v.
giglio). Nelle occ. di
Par. 6.100 (
gigli gialli) e 6.111 (
gigli), il sost. è emblema figurativo della Monarchia francese, raffigurante tre gigli dorati su sfondo azzurro. A
Purg. 7.105 nell'espressione
disfiorando il giglio (vd.
disfiorare e rel.
Nota) vale «mandando in rovina la casa reale francese, che aveva come insegna tre gigli [...]; metafora di gusto guittoniano» (Cfr. Bellomo Carrai,
ad l.; e anche Inglese,
ad l.). Lo stemma della città di Firenze, con un
giglio bianco su sfondo rosso, è richiamato a
Par. 16.152 (cfr. Villani VI 43, cit. in ED,
Ibidem). Simbolo della città, il
giglio è effigiato poi sulla moneta (vd.
fiorino): il «maladetto fiore» (
Par. 9.130; vd.
fiore) che Firenze «produce e spande». A
Par. 30.124
giglio è var. poco plausibile di
giallo (in La, Pa, Parm): per Scartazzini «sembra locuzione troppo strana» (cfr.
ad l.), Petrocchi segnala inoltre la var. «anche in Cass., nei codici del Boccaccio e del Villani ecc»,
ad l.).