Vocabolario Dantesco
villano s.m./agg.
Commedia 5 (3 Inf., 1 Purg., 1 Par.).
Altre opere27 (7 Vn., 18 Conv., 2 Rime).
11 (11 Fiore).
Commedia villan Inf. 15.96, 26.25, Purg. 6.126, Par. 16.56; villano Inf. 33.150 (:).
Altre opere villan Vn 31.8-17.35, Rime 11.54; villana Vn 8.3, 8.4-6.5, 8.8-11.1, 19.4-14.65, 23.9; villani Vn 19.4-14.33, Conv. 4.15.4, 4.25.2, Rime 4.70 (:); villano Conv. 4.1.7, 4.7.9, 4.8.5, 4.11.8, 4.14.3 (4), 4.14.4 (4), 4.14.12, 4.14.14 (2), 4.15.2.
villan Fiore 7.7, 19.12, 204.2, 208.8, 208.11; villane Fiore 58.4 (:); villani Fiore 28.6 (:); villano Fiore 6.11 (:), 9.1 (:), 24.9 (:), 203.6 (:).
Dal lat. tardo villanus (DELI 2 s.v. villa), è att. come agg. 'che abita in campagna' dalla seconda metà del sec. XII, nel Ritmo laurenziano, e solo più tardi col corrispettivo uso sost. (cfr. TLIO s.v. villano). In funzione di sost. ricorre in due contesti infernali a indicare propr. il contadino. Pur essendo chiaro il senso propr., a Inf. 15.96 la figura del villan che usa la marra (vd.), associata all'immagine della ruota della fortuna (v. 95), è stata oggetto di varie interpretazioni. Tra i primi esegeti, Iacomo della Lana e l'Ottimo la collegano metaf. all'«appetito sensitivo»; Boccaccio (con il quale concorda l'Anonimo fior.) vi legge un'allusione agli avversari politici di Dante, ossia i «Fiesolani, che contro a lui deono adoperare, li quali qui discrive in persona di villani, cioè d'uomini non cittadini, ma di villa» (Esposizioniad l.). L'esegesi ottocentesca e moderna riconduce il passo a un modo di dire proverbiale, che solo di recente Inglese (ed. e comm.), individua: «al villano la zappa in mano» (Giusti, Raccolta di proverbi toscani, p. 170), e spiega come «ciascuno faccia il suo mestiere» col conforto di Benvenuto da Imola («omnia faciant officium suum»). Pagliaro rileva invece un rif. a Conv. 4.11.8, in cui «il contadino senza merito, anzi il peggiore di tutta la contrada, che trova, zappando, un tesoro diventa un termine di confronto e quasi il simbolo della fortuna immeritata» (Id., Ulisse, p. 177). L'ipotesi è accolta, tra gli altri, da Malato (ad l.) e in parte da Brilli, la Fortuna, pp. 17-23 (vd. anche Bellomo, ad l.), che fa derivare il villano dantesco da un exemplum aristotelico, noto tramite Boezio (Boeth., Consol. Phil. V, 1) o la trad. tomistica (es. Tommaso, Contra Gentiles, II, 41, 8). L'occ. di Par. 16.5, ripresa dal pron., è usata come appellativo dispregiativo, entro l'invettiva di Cacciaguida contro l'inurbamento della gente venuta dal contado fiorentino. Con valore estens. e neg. (§ 1.2), il sost. indica il cittadino di più bassa estrazione, quindi di «non nobile» origine (Bellomo-Carrai, Purg. 6.126), come chiosa Francesco da Buti: «ogni uno di vile condizione, come sono quelli della villa» ('non nobile' con valore morale è in Rime 4.70; Conv. 4.14.4.,12-14, 4.15.2). Come agg., villano assume anche, fin dalle origini, il senso più deteriore di 'privo di cortesia; rozzo', «accezione propria del linguaggio moderno, che esclude quasi del tutto quella di "contadino"» (Bufano in ED). Nel passo di Inf. 33.150, «caratterizzato dalla semantica oppositiva tra cortesia e villano» (Coluccia, e cortesia fu lui esser villano, p. 141), il rifiuto di Dante alla preghiera del traditore frate Alberigo di aprirgli gli occhi dalle lacrime congelate è accompagnato dal commento «e cortesia fu lui esser villano», con cui si qualifica come atto di cortesia (vd.) il trattamento scortese riservato a un essere così spregevole. In opp. ai dettami dell'amore cortese, l'agg. è att. in quanto 'privo di nobiltà d'animo' in Vn 19.33, 19.65, 31.35; come 'dissoluto' rif. al diletto (Rime 30.54) o 'crudele' rif. alla Morte (Vn 8.3, 8.5, 23.9).
Autore: Francesca De Cianni.
Data redazione: 20.04.2023.
Data ultima revisione: 31.07.2023.
1 Chi vive e lavora in campagna; contadino.
[1] Inf. 15.96: Non è nuova a li orecchi miei tal arra: / però giri Fortuna la sua rota / come le piace, e 'l villan la sua marra». 
[2] Inf. 26.25: Quante 'l villan ch'al poggio si riposa, / nel tempo che colui che 'l mondo schiara / la faccia sua a noi tien meno ascosa, / come la mosca cede a la zanzara, / vede lucciole giù per la vallea, / forse colà dov' e' vendemmia e ara...
1.1 [Con connotazione spregiativa:] persona proveniente dal contado.
[1] Par. 16.56: Oh quanto fora meglio esser vicine / quelle genti ch'io dico, e al Galluzzo / e a Trespiano aver vostro confine, / che averle dentro e sostener lo puzzo / del villan d'Aguglion, di quel da Signa, / che già per barattare ha l'occhio aguzzo! 
1.2 Persona di bassa condizione sociale (estens., con connotazione neg.).
[1] Purg. 6.126: Ché le città d'Italia tutte piene / son di tiranni, e un Marcel diventa / ogne villan che parteggiando viene. 
2 Agg. Privo di cortesia e di gentilezza. 
[1] Inf. 33.150: Ma distendi oggimai in qua la mano; / aprimi li occhi». E io non gliel' apersi; / e cortesia fu lui esser villano