Vocabolario Dantesco
cortesia s.f.
Commedia 7 (2 Inf., 2 Purg., 3 Par.).
Altre opere19 (5 Vn., 7 Conv., 7 Rime).
16 (16 Fiore).
Commedia cortesia Inf. 16.67, 33.150, Purg. 14.110 (:), 16.116, Par. 7.91 (:), 12.143 (:), 17.71.
Altre opere cortesia Vn 3.1, 8.8-11.13 (:), 10.1, 12.2, 42.3, Conv. 2.10.7, 2.10.7, 2.10.7, 2.10.8, 2.10.8, 4.26.13, 4.26.15, Rime 30.18 (:), 31.7, 48.3, 56.2 (:), 59.5, 61.12 (:), 83.1.
Cortesia Fiore 1.3 (:), 1.12, 15.9 (:), 43.1 (:), 67.8 (:), 71.7, 79.3, 84.5, 114.7 (:), 127.1 (:), 136.14, 137.6, 172.11 (:), 226.3 (:), 226.7, 137 rubr..

Deaggettivale da cortese (vd.), il lemma è «parola-chiave della civiltà medievale» (Pasquini in ED), frequente nella poesia trobadorica e nei Siciliani, quindi in larga parte della letteratura due-trecentesca (cfr. Corpus OVI). Come «tratto comportamentale di nobile origine», la cortesia «risulta intrinsecamente legata alle manifestazioni più elevate di magnanimità, generosità e liberalità», indicando «raffinatezza di modi e nobiltà di sentimenti, contraddistinti da valore, lealtà e munificenza» (Coluccia, e cortesia fu lui esser villano, p. 134). Dante stesso ne offre una definizione in Conv. 2.10.7-8: «E non siano li miseri volgari anche di questo vocabulo ingannati, che credono che cortesia non sia altro che larghezza; e larghezza è una speziale, e non generale, cortesia! Cortesia e onestade è tutt'uno: e però che nelle corti anticamente le vertudi e li belli costumi s'usavano, sì come oggi s'usa lo contrario, si tolse quello vocabulo dalle corti, e fu tanto a dire cortesia quanto uso di corte. Lo qual vocabulo, se oggi si togliesse dalle corti [...] non sarebbe altro a dire che turpezza»: definizione probabilmente influenzata dal cap. «Quid est curialitas» (II III XVIII) del De regimine principum di Egidio Romano, anche per la menzione della largitas (larghezza) come virtù con cui tende a confondersi la cortesia «per quandam antonomasiam» (vd. Papi, Sulla semantica della cortesia). A norma del Conv. la cortesia non si declina dunque solo in una virtù specifica (speziale) ma, simile all'ideale classico dell'honestas, designa piuttosto un complesso di qualità comportamentali e di virtù, che caratterizzavano la vita di corte prima che le corti stesse degenerassero in turpezza. Quest'accezione di cortesia come complesso di virtù si ritrova nella Commedia nei contesti qui riportati al §1, tutti segnati dal ricordo nostalgico di un mondo ideale perduto: la Firenze passata della quale domanda Iacopo Rusticucci (Inf. 16.67); la nobile Romagna antica rimpianta da Guido del Duca (Purg. 14.110); la Lombardia prima delle contese fra papato e Impero che ricorda Marco Lombardo (Purg. 16.116) ricorrendo allo stesso binomio valore e cortesia di Inf. 16.67 (oltre che di Rime 48.3). Al §1.1 si distingue un signif. di cortesia «moralmente più alto di quello medievale-cavalleresco», rif. alle virtù di Dio, alla sua infinita bontà e misericordia: «matrice originaria del termine, revocato alla corte celeste da un'ininterrotta tradizione patristica» (Pasquini in ED, e cfr. già Vn 42.3 e TLIO s.v. cortesia). Al §2 si registra l'occ. di Par. 17.71, in cui la cortesia si identifica invece in una virtù specifica: la liberalità (equivalente della larghezza di Conv. 2.10.8) di Bartolomeo della Scala, il quale accoglierà Dante così benignamente che il suo agire magnanimo e liberale (il fare) precederà il chieder del suo ospite (vv. 73-75). Al §3 si riporta infine il signif. più «modesto» di cortesia come benevolenza, gentilezza, urbanità, che avvicina la parola «verso il livello del quotidiano» e verso l'uso odierno (Coluccia, e cortesia fu lui esser villano, pp. 135-136). In quest'accezione, cortesia è l'accorata gentilezza manifestata da Tommaso d'Aquino nell'elogiare san Francesco, che induce Bonaventura a fare altrettanto nei confronti di san Domenico (Par. 12.143); ma è anche l'atto di benevolenza promesso e poi negato da Dante al traditore frate Alberigo, che lo aveva pregato di liberagli gli occhi dalle lacrime congelate (Inf. 33.150). In quest'ultimo contesto, sfruttando l'opposizione topica fra i due lessemi contrari (cortesia vs villania), Dante afferma che l'esser villano è proprio ciò che la cortesia richiede verso un peccatore così spregevole, come riconoscono già i commentatori (alcuni aggiungendo che il comportamento contrario avrebbe contraddetto la giustizia divina, cfr. per es. Guido da Pisa, l'Ottimo commentoFrancesco da Buti).

Autore: Fiammetta Papi.
Data redazione: 02.10.2022.
Data ultima revisione: 05.12.2022.
1 Complesso delle virtù e delle qualità comportamentali (fra cui onestà, lealtà, magnanimità, munificenza, affabilità) che caratterizzano l'animo nobile (con rif. alle corti o ai modi cavallereschi di un tempo passato).
[1] Inf. 16.67: se la fama tua dopo te luca, / cortesia e valor dì se dimora / ne la nostra città sì come suole, / o se del tutto se n'è gita fora...
[2] Purg. 14.110: le donne e ' cavalier, li affanni e li agi / che ne 'nvogliava amore e cortesia / là dove i cuor son fatti sì malvagi.
[3] Purg. 16.116: In sul paese ch'Adice e Po riga, / solea valore e cortesia trovarsi, / prima che Federigo avesse briga...
1.1 [Come attrib. di Dio:] infinita bontà e misericordia.
[1] Par. 7.91: o che Dio solo per sua cortesia / dimesso avesse, o che l'uom per sé isso / avesse sodisfatto a sua follia.
2 [Come virtù specifica:] generosità, liberalità.
[1] Par. 17.71: Lo primo tuo refugio e 'l primo ostello / sarà la cortesia del gran Lombardo / che 'n su la scala porta il santo uccello...
3 Manifestazione o atto di benevolenza e gentilezza.
[1] Inf. 33.150: E io non gliel' apersi; / e cortesia fu lui esser villano. 
[2] Par. 12.143: Ad inveggiar cotanto paladino / mi mosse l'infiammata cortesia / di fra Tommaso e 'l discreto latino...