Derivato dal
prov. cortes (LEI s.v.
cohors, 15, 606.7), l'agg. è ampiamente diffuso nel Due e Trecento, in poesia (è parola-chiave della lirica amorosa fin dai modelli trobadorici) e in prosa. La struttura della voce è modellata sul sost.
cortesia (vd.). Il signif. di
cortesia come complesso delle virtù e delle disposizioni d'animo più nobili (cfr.
Conv. 2.10.7-8) si ritrova nelle occ. dell'agg. qui riportate al §
1, tutte rif. a Virgilio, del quale definiscono la «generosa nobiltà d'animo» (Pasquini in ED) e l'operare magnanimo in soccorso di Dante. Al §
2 si registra il valore dell'agg. corrispondente a una virtù specifica, la liberalità/larghezza o generosità (vd.
cortesia §2). Quest'accezione riguarda Dio (§
2.1), matrice di ogni virtù e cortesia (vd. la nota a
cortesia), infinitamente liberale nel concedere a Enea (
Inf. 2.17) e a Dante (
Par. 15.48) il viaggio oltremondano (per il parallelo fra i due passi cfr. Inglese a
Par. 15.48). Riguarda però anche l'uomo (
Purg. 5.70), e in partic. Dante stesso, al quale Iacopo del Cassero chiede di pregare in Fano, lett. di 'concedergli largamente preghiere' (cfr. TLIO s.v.
cortese per l'espressione
essere cortese di), chiedendo suffragi per la sua anima penitente. In
Par. 9.58 il lemma è adoperato sarcasticamente: il vescovo Alessandro Novello agì villanamente consegnando a tradimento tre fuoriusciti ferraresi, che vennero decapitati; fu dunque tanto 'generoso' di sangue versato da riempire una
bigongia troppo larga (v. 55). Al §
3 si riporta il «semantema sopravvissuto ancor oggi, spoglio di ogni implicazione ideologica» (Pasquini in ED): l'essere
cortese nel senso di manifestare benevolenza o gentilezza, detto di persone o di pensieri e gesti (vd.
cortesia §3). In quest'accezione,
cortese è attrib. dell'angelo guardiano della porta del Purgatorio (
Purg. 9.92). Inoltre, si rif. ai penitenti, come Oderisi da Gubbio (
Purg. 11.85), la cui superbia in vita gli impedì di essere benevolo nel riconoscere i meriti degli altri artisti, e ai beati, come Tommaso d'Aquino (
Par. 12.111), la cui
cortesia (
Par. 12.143) si manifesta nel panegirico di san Francesco, precedente a quello speculare di san Domenico da parte di Bonaventura. Quanto a
Inf. 16.15, Virgilio invita Dante «a compiere un gesto di cortesia verso i dannati, non attendendoli ma facendosi loro sollecitamente incontro, come per un ospite di riguardo» (Marcozzi,
Inf. XVI, p. 497); fra i suoi interlocutori, Iacopo Rusticucci chiederà a Dante proprio se
cortesia e valor dimorano ancora a Firenze (vd. la nota a
cortesia).
Autore: Fiammetta Papi.
Data redazione: 02.10.2022.
Data ultima revisione: 05.12.2022.