Dal
germ. *tasca, prestito dal lat. volg.
*tasca (cfr. Mastrelli,
Prestiti lessicali, pp. 187-188; Nocentini s.v.
tasca). In it. antico, fin dalla prima att. (
Doc. sen., 1266, p. 411: «(E) ancho una tascha chon quatro istaia di farina»), la
tasca indica una 'sacca di tessuto o di pelle, di varia dimensione e foggia'. Il sost. è att. anche come antrop. in doc. lat. di area tosc. fin dal sec. XI (GDT s.v.
tasca) ed è menzionato da Uguccione da Pisa: «pera -e, sacculus qui tasca vulgo dicitur, quia lata sit et sinuosa» (Cecchini,
Uguccione, P 68, 17). La
tasca dantesca - che ricorre solo in
Inf. 17, dove viene chiamata anche
borsa (vd.) e
sacchetto (vd.) -, in quanto appesa al collo degli usurai, è tuttavia da intendersi di dimensioni non eccessive (come dimostra anche il dimin.
sacchetto), al pari di quelle borse che, appese alla cintura, erano indispensabili per tenere i denari e potevano essere variamente impreziosite o ornate di stemmi araldici, proprio come quelle descritte nella
Commedia (per i vari tipi di borsa, cfr. Gay, Glossaire s.v.
bourse; Levi Pisetzky,
Storia del costume, I, pp. 183 e 238-242, e Rodhe Lundquist,
La mode, pp. 74-81; cfr. anche ED s.v.
amoniera). In alcune miniature trecentesche di
Inf. 17, le tasche sono raffigurate in forma rettangolare o trapezoidale (cfr. BMS, II, pp. 195-198). Salvemini (
Recensione Arias, p. 115 nota 1), facendo rif. allo
Statuto dell'Arte del Cambio di Firenze del 1299, afferma che «nella borsa [...] appesa al collo [...] si deve riconoscere [...] un ricordo della consuetudine che avevano i prestatori di stare "ad tabulam sive banchum cum tascha et libro"»; nello
Statuto si registra anche il divieto per i cambiatori di portare denari, «taschas» o «tascocciolos» nascosti nei giorni di festa consacrata (cfr. Camerani Marri,
Statuti Cambio, pp. 4, 5, 38, 40). In base a studi recenti, inoltre, nella
Commedia l'immagine della borsa al collo, che trova alcuni ess. anche nell'inferno giottesco della cappella degli Scrovegni di Padova, dove però (in linea con le pitture infamanti comunali) sembra identificare genericamente i truffatori e i corrotti, individuerebbe specificamente, secondo un'iconografia religiosa già del sec. XI - poi estesa nei secc. successivi ad altri peccatori e, quindi, ad altri peccati (l'Epulone, Giuda, Simon Mago o la personificazione dell'
Avaritia) -, coloro che prestano denaro a interesse (vd.
usura e cfr. Milani,
L'uomo con la borsa, e in partic. le pp. 219-240 e le relative tavv.).
Autore: Cristiano Lorenzi Biondi.
Data redazione: 31.01.2019.
Data ultima revisione: 29.04.2019.