Vocabolario Dantesco
accismare v.
Commedia 1 (1 Inf.).
Commedia accisma Inf. 28.37 (:).
Gallicismo dal fr. acesmer o dal pr. acesmar (Cella, I gallicismi, p. 306 e Viel, I gallicismi, p. 255) att. quasi esclusivamente in poesia a partire dall'Anonimo Genovese (a. 1311). L'agg., nella forma acesmo, è già nell'Amico di Dante (XIII ex.; cfr. TLIO s.v. accismato). Per il passaggio e > i, cfr. Parodi, Lingua, p. 222. Nella scelta lessicale dantesca si può riconoscere un richiamo all'acesmatz («chascus deu esser acesmatz», v. 27) del serventese Be·m platz lo gais temps attribuito a Bertran de Born (non a caso posto fra i dannati in questa bolgia); il componimento è certamente presente a Dante anche per le drammatiche immagini dei corpi mutilati che riempiono il canto. Il serventese e le occ. antiche rassicurano sulla semantica indicata e sul valore antifrastico del verbo dantesco, mentre i commentatori (ess. Guido da Pisa, Ottimo, Maramauro) per lo più glossano accismare con 'tagliare, dividere', collegandolo al termine scisma e alla pena inflitta ai dannati (Francesco da Buti legge ascisma – «che n'ascisma: cioè che divide e taglia noi» –, lez. recata anche da Pa). Cfr. però ad l. Benvenuto da Imola: «idest exornat et polit nos». Rispetto all'«arcaico» accismare (Castellani, Gramm. stor., p. 116-117), l'esito azzimare 'ornare, abbellire', cui Dante ricorre in Conv. 1.10.12 e 1.3.4, conosce una diffusione più ampia, benché limitata all'area tosc., che si protrae anche in seguito (cfr. TLIO s.v. azzimare).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 10.04.2017.
Data ultima revisione: 02.05.2018.
1 Conciare (in senso iron.), straziare.  ||  Propr. ornare con cura, abbellire.
[1] Inf. 28.37: Un diavolo è qua dietro che n'accisma / sì crudelmente, al taglio de la spada / rimettendo ciascun di questa risma...