Vocabolario Dantesco
rana s.f.
Commedia 4 (4 Inf.).
Commedia rana Inf. 22.33, 23.6, 32.31; rane Inf. 9.76.
Il sost. è att. unicamente nell'Inferno, sempre all’interno di similitudini che descrivono lo stato o il comportamento dei dannati. Nell'occ. di Inf. 9.76 le anime distrutte, che riemergono dalle acque della palude stigia, si dileguano come rane minacciate dalla biscia (vd.). In Inf. 22.33 l’analogia riguarda il modo di fuggire di questi animali quando si sentono minacciati, saltando disordinatamente, «ch'una rana rimane e l'altra spiccia»: così i dannati al sopraggiungere dei diavoli, e tra coloro che improvvidamente rimangono, e vengono "arruncigliati" da Graffiacane (vd. arruncigliare), Dante ne seleziona uno (un funzionario corrotto del re Thibaut di Navarra) per fargli narrare le proprie vicende. Rimanda alla favola esopica (in cui l’anfibio cerca fraudolentemente di fare affogare il roditore, ma viene punito dall'intervento di un falco che cattura entrambi gli animali) l'occ. di Inf. 23.6 rif. a una rissa tra diavoli. Infine, nell’occ. di Inf. 32.31 l’analogia con le rane dei traditori immobilizzati entro il ghiaccio del Cocito è duplice: da un lato perché a emergere dalla superficie è la sola testa (come nella similitudine in Inf. 22.25-28 per i barattieri immersi nella pece bollente, vd. ranocchio), dall’altro per il rumore del battere dei denti dei dannati, anticipato dall’evocazione descrittiva del gracidare delle rane e infine assimilato al ritmico battere del becco caratteristico della cicogna (vd.). La pertinenza solo infernale dei batraci non è certo casuale: come osserva Giuseppe Ledda (Il bestiario dell’aldilà, pp. 138-54), nell'immaginario medievale le rane, pur non essendo portatrici di una simbologia specifica, «risultano animali sempre negativi, simbolo del diavolo o del peccatore, regolarmente descritte come esseri ripugnanti sotto ogni aspetto» (ivi, p. 141), compreso «il loro verso estremamente rumoroso, insistente e molesto» (ibid.).
Autore: Elena Felicani.
Data redazione: 26.04.2021.
Data ultima revisione: 03.02.2023.
1 [Zool.] Anfibio dell'ordine degli Anuri, viventi in ambienti umidi, che si caratterizza per il corpo tozzo, le zampe posteriori atte al salto e il verso rauco, ossessivamente iterato.
[1] Inf. 9.76: Come le rane innanzi a la nimica / biscia per l'acqua si dileguan tutte, / fin ch'a la terra ciascuna s'abbica, / vid' io più di mille anime distrutte...
[2] Inf. 22.33: I' vidi, e anco il cor me n'accapriccia, / uno aspettar così, com' elli 'ncontra / ch'una rana rimane e l'altra spiccia...
[3] Inf. 23.6: Vòlt' era in su la favola d'Isopo / lo mio pensier per la presente rissa, / dov' el parlò de la rana e del topo...
[4] Inf. 32.31: E come a gracidar si sta la rana / col muso fuor de l'acqua, quando sogna / di spigolar sovente la villana, / livide, insin là dove appar vergogna / eran l'ombre dolenti ne la ghiaccia / mettendo i denti in nota di cicogna.