Commedia |
pugna Inf. 6.26 (:); pugno Inf. 7.57, 30.102. |
Dal lat.
pugnus (DELI 2 s.v.
pugno), att. in volg. dall'ultimo quarto del sec. XIII («sì come la mano, k'è una medesima qua(n)do in palma si stende (e) i(n) pugno si ristri(n)gne»
Albertano volg., 1275 [fior.], L. III, cap. 37, p. 208; cfr.
Corpus OVI). In Dante il sost. ricorre soltanto nella prima cantica; un'unica volta, a
Inf. 6.26, è in posizione rimica nella forma neutra plur.
pugna, normale nell'it. antico (es. «uno pugno d'acqua e faciane dece pugna d'aere» Restoro d'Arezzo,
La composizione del mondo, 1282 [aret.], L. II, dist. 7, cap. 1, p. 177; cfr.
Corpus OVI; cfr. anche Rohlfs, § 368). A
Inf. 7.57, il
pugno – ulteriormente precisato dall’agg.
chiuso – diventa il tratto distintivo della rappresentazione degli avari, eternamente aggrappati al possesso dei beni materiali: «quando resurgiranno al dì del giudixio, li avari surgiranno con li pugni chiuxi, a demostrare c'hanno tenuto di soperchio; e li prodighi resurgiranno coi crini muci, a dimostrare c'hanno gittado di soperchio: e digando, commo appare nel testo, che lo mal tignire e 'l mal dare si èn qui vicii c'hanno condutti loro a tal battaia» (
Iacomo della Lana,
ad l.).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 13.04.2021.
Data ultima revisione: 11.06.2021.