Vocabolario Dantesco
acceffare v.
Commedia 1 (1 Inf.).
Commedia acceffa Inf. 23.18 (:).
Prima att. Verbo parasintetico da ceffo (vd.) di partic. forza espressiva, hapax nella Commedia, è impiegato da Dante in contesto fig., in cui l'immagine del cane che azzanna, non nuova nell'Inferno (cfr. Inf. 21.44-45,67-68), è rif. propr. all'azione compiuta dal diavolo. Il v. è posto in ultima posizione nella serie di rime aspre in -effabeffa/aggueffa/acceffa (vd. anche aggueffare), espediente che, come chiosa Chiavacci Leonardi, è «specifico di alcuni tratti dell'Inferno, di incisivo e basso realismo» (ad l.). Tra i commentatori, Lodovico Castelvetro, oltre a notare il valore imminenziale del v., segnala la ripresa della descrizione dantesca dalle Metamorfosi di Ovidio: «Il cane corre forte sempre quando perseguita la levre, ma corre molto più forte quando perseguita la levre ed è già vicino a prenderla ed a morderla, e di questo corso parla qui Dante, e questa comperazione è presa del primo libro del metamorfosi d'Ovidio [vv. 533-534]» (ad l.); sul «valore conativo 'cerca di addentare'», come «ennesima metafora venatoria» si sofferma anche Bellomo (ad l.).
Autore: Elena Felicani.
Data redazione: 07.04.2021.
Data ultima revisione: 22.07.2021.
1 Afferrare o cercare di afferrare (una preda) coi denti (in contesto fig.).
[1] Inf. 23.18: Se l'ira sovra 'l mal voler s'aggueffa, / ei ne verranno dietro più crudeli / che 'l cane a quella lievre ch'elli acceffa'.