Deriva da
moneta (vd.), con il suff.
-iere, derivato dal
fr. antico (nel
Corpus OVI è att. anche il francesismo
moniere, da
monier, per cui cfr. Godefroy s.v.). In antico, la parola
monetiere è att. specialmente in testi pratico-giuridici e volgarizzamenti, già a partire dalla fine del sec. XIII (cfr.
Corpus OVI;
Corpus DiVo;
Ceffi, St. guerra di Troia [ed. Dello Russo], p. 112; e
Bandi lucchesi, pp. 100 e 103). Nei primi il lemma indica in senso tecnico l''artigiano che imprime a martello su un tondello di metallo i caratteri incisi su due conii, in modo da fabbricare una moneta'. In partic., a Firenze i monetieri erano organizzati nell'
Ars monetariorum o
Arte de' monetieri, di cui ci rimane un
Constitutum, databile
ante 1314 (anche volgarizzato; cfr.
Constitutum [ed. Ginori Conti]), in cui sono att. le forme
monetarius e
moneterius (p. 1 e
passim). La loro attività si svolgeva nella Zecca (detta anche Moneta), dopo quella di altri artigiani specializzati (cfr. Bernocchi,
Le monete, III, pp. 1-53, in partic. pp. 1-24;
Dal Giglio al David, p. 138-140 nr. 14; Travaini,
Le Zecche e bibliografia ivi cit.). Nei volgarizzamenti letterari, il lemma ricorre in trad. di
trapezita 'cambiavalute' (cfr.
Corpus CLaVo), di cui si sottolinea la capacità di riconoscere la buona moneta sia dal metallo utilizzato sia dall'immagine che vi era impressa, o
erarius (
sic, cfr. G. Colonne,
Hist. dest. Tr., p. 48; i signif. del lat. mediev.
monetarius confermano e ampliano quelli delle att. volgari: vd. DMLBS e Du Cange s.v.). Nella
Commedia il lemma, che con Dante per la prima volta entra in poesia, è rif. al falsatore maestro Adamo, che in
Inf. 30 dichiara di aver prodotto in maniera illecita e alterata «la lega suggellata del Batista» e di essere stato indotto dai conti Guidi di Romena «a batter li fiorini / ch'avevan tre carati di mondiglia» (vv. 74 e 89-90; vd.
fiorino,
lega 1 e
mondiglia), e che viene accusato da Sinone di aver avuto un braccio «presto» nel battere la moneta e di aver falsato il «conio» (vv. 110-111 e 115). Nel definire il lemma, dunque, bisogna tenere in considerazione che Dante sembra insistere sia sull'azione propria di un monetiere in senso tecnico (il battere a martello) sia sulla competenza di Adamo circa la qualità del metallo e il
conio (vd.) della moneta, tanto più che egli viene appellato «maestro» (v. 61), così come
magistri o
maestri venivano chiamate a Firenze alcune figure di rilievo appartenenti alla Zecca o Moneta, che nel cit.
Constitutum vengono menzionate assieme ai
domini o
signori della stessa (pp. 5, 6, 27 e 28; per le att. volgari cfr. anche
Stat. fior., in
Corpus OVI). Fra l'altro, come afferma Travaini,
Le Zecche, p. 84, in Italia sett. «tra XI e XII secolo era maturata una classe nuova di
magistri monetari, formati al di fuori dell'esercizio diretto della professione», frutto di una «separazione progressiva [...] tra la manodopera, pur specializzata, e i direttori di zecca» (sui
magistri monetarii, vd. anche Del Giudice,
Storia del diritto italiano, III/2, pp. 122-124, e la bibliografia ivi cit.; vd. anche
maestro). Data la doc., infine, non pare di potersi spingere a interpretare il lemma con il «significato peggiorativo di "falsario"», come in ED s.v.
monetiere.
Autore: Cristiano Lorenzi Biondi.
Data redazione: 08.05.2019.
Data ultima revisione: 22.07.2019.