Prima att. Formazione parasintetica («verbo informativo»,
Iacomo della Lana,
ad l.) con pref.
in-, dal latinismo
urbe; prob.
conio dantesco (cfr. Di Pretoro,
Innovazioni lessicali, p. 18; Viel,
«Quella materia ond’io son fatto scriba», p. 276). L’espressività di
inurba è rilevata dal suo chiudere una serie rimica ardua (avviata dagli equivoci
turba sost. e
turba verbo, entrambi in occ. unica). Nella trad. Mart., Triv. attestano la var.
entra in urba, che è anche glossa banalizzante, ma congrua al carattere dinamico del vocabolo, quale è ben individuato da
Francesco da Buti («cioè mette sé prima ne la città»,
ad l.) e da Benvenuto da Imola («poeta intelligit de montano habitante in alpibus Florentiae, qui prima vice qua venit Florentiam... obstupescit»,
ad l.). Quest’ultimo aggiunge «hunc actum viderat poeta aliquando in ipsa patria sua», sottolineando il tono umoristico della scena che attinge «verità e colore al vivo dell’esperienza personale del poeta» (cfr. Manni,
Da Dante a noi, p. 423). Nel XIV sec. il verbo ricorre soltanto nei
Quatro Evangelii di Gradenigo, ma con il signif. estens. di ‘risiedere’ e ‘stare fermo’ (per un caso analogo, vd.
imborgare) e resta di rarissimo impiego nella trad. lett. (Pulci, Pindemonte), dove è «sempre rimasto un dantismo» (Petrocchi,
ad l.; e cfr. Serianni,
Echi danteschi, pp. 292-293). A partire dal Settecento esso assume sfumature di ordine socio-economico, presupposto per il signif. moderno, proprio delle scienze sociali, di ‘trasferirsi dalla campagna in un centro urbano’, estens. ‘farsi cittadino nei modi’ ossia ‘raffinarsi, incivilirsi’ (cfr. GRADIT s.v.
inurbarsi).
Autore: Paolo Rondinelli.
Data redazione: 04.02.2021.
Data ultima revisione: 08.03.2023.