Da
allegro (vd.). Le occ. dantesche del sost. individuano due signif. che si distinguono fra loro per il carattere contingente dell’
allegrezza (signif.
1) e la condizione assoluta del sentimento nelle altre att. (
2). Come già notato da Spampinato Beretta (
Il lessico, pp. 330-331) a proposito dei Siciliani, anche in Dante, fra gli elementi del lessico della gioia, l’
allegrezza si distingue per il suo carattere estroverso, volto a esprimere «l'esterno manifestarsi della gioia interiore» (Chiavacci Leonardi); a tal proposito cfr. anche
Francesco da Buti: «l'allegressa àe prima movimento ne l'anima, e chiamasi iubilo; e poi esce nel volto e dilatasi per la faccia, e chiamasi letizia; e poi si sparge per tutto lo corpo e muovelo, e chiamasi esultazione». A
Par. 8.48 i commenti antichi suggeriscono una lettura alternativa del passo, mostrando di interpretare
accrescersi (vd.) come intr. pron. assol. e
a le allegrezze sue come termine di
parlare. Si veda, in partic.,
Francesco da Buti che, con prob. funzione glossatoria, ha
bellezze in luogo di
allegrezze: «Quando parlai; cioè io Dante, alle bellezze sue; cioè a lei beata, che nelle bellezze sue si dimostrava!». In tal caso, considerando che l'episodio in questione si svolge nel cielo di Venere ed è inserito in un canto dal riconosciuto carattere cortese, il plurale
allegrezze potrebbe forse risentire di una peculiarità linguistica della lirica siciliana nella sua veste toscanizzata: il femm. sing. sic. dei nomi astratti in
-ezze (lat. <
-ities), inteso come plurale in ambiente toscano (per gli accordi di numero in questi casi, cfr. Avalle,
Sintassi, pp. 19-25; CLPIO, pp. CXCV-CXCV e CCXXXIII-CCXXXIV).
Autore: Francesca De Blasi.
Data redazione: 18.01.2018.
Data ultima revisione: 28.05.2018.