Da una forma
got. *haribergo 'alloggiamento militare' (DELI 2 s.v.
albergo). Il sost., nella forma latinizzata
albergus, è att. già col signif. di 'alloggio' in una carta di area fior. databile al 1125 (vd. GDT s.v.; altre occ. duecentesche sono registrate in Sella,
Gloss. lat. emil. s.v.
albergus). Diversamente dall'it. contemporaneo, nei doc. volg. antichi
albergo può designare anche una sede residenziale stabile (vd.
TLIO s.v.), e in tal senso s'intende l'occ. in
Fiore 188.2 («Se l'uon può tanto far ched ella [[
scil. femina]] vada / Al su'albergo la notte a dormire...»). In
Conv. 4.12.15 e 4.28.7, invece,
albergo si contrappone a
casa o
mansione (sempre in contesti fig.), acquisendo senz'altro il valore di 'alloggio temporaneo' (es.: «la nobile anima [[...]] attende lo fine di questa vita con molto desiderio e uscire le pare dell'albergo e ritornare nella propia mansione» ivi, 4.28.7). Nel poema il sost. occorre una sola volta, con rif. al corpo della Vergine che ha offerto ospitalità e rifugio a Cristo: «qui venter fuit habitaculum Christi» (Benvenuto da Imola,
ad l.). Nelle parole di Maria, tuttavia, il figlio di Dio è evocato indirettamente, attraverso la perifrasi «nostro disiro»: Cristo è il desiderio di redenzione proprio dell'intera umanità. Con il valore fig. di 'ospitalità, accoglienza',
albergo è impiegato da Dante anche nel sonetto
Perch'io non truovo chi meco ragioni, indirizzato a Cino da Pistoia («'l ben non truova chi albergo gli doni»
Rime 101.8). Vd. anche quanto detto s.v.
albergare.
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 11.02.2020.
Data ultima revisione: 02.03.2020.