Vocabolario Dantesco
fenice s.f.
Commedia 1 (1 Inf.).
Commedia fenice Inf. 24.107.
La fenice è un uccello sacro della mitologia egiziana, rappresentato con una lunga coda, una cresta e ali color porpora (vd. TLIO s.v. fenice). Di esso, secondo il mito, esisterebbe un solo esemplare che, dopo cinquecento anni di vita, brucia sopra un fascio di erbe profumate per poi rinascere immediatamente dalle proprie ceneri. Simbolo del continuo perpetuarsi della vita, l'immagine della fenice è ben diffusa nella lirica del Duecento come metafora d'amore (cfr. Chiavacci Leonardi, ad l.). Come ricorda Dante, traducendo alla lettera Ovidio, Met. XV 393-4, la fenice non si nutre di cibi comuni («erba né biado»), ma solo di gocce di incenso (vd.) e amomo (vd.). Nota al riguardo Marucci (Canto XXIV, p. 242) che Dante, nel riprendere il racconto ovidiano, più che insistere sull'aspetto favoloso dell'animale mitologico sembra voler recuperare «esattamente – e solamente – il tessuto informativo di quello, storicamente e culturalmente contestualizzato: i gran savi [...] dichiarano solennemente che la fenice non mangia altro cibo che incenso e amomo; che vive cinquecento anni, che muore e rinasce al compimento di questo tempo a condizione di essere riparata – come le mummie egizie – in un nido rivestito di nardo e di mirra». Il paragone con la fenice è inserito da Dante nella descrizione della repentina combustione di Vanni Fucci, cui fa seguito un altro paragone, non più fantastico ma di tipo medico: quello di colui che cade a terra senza rendersene conto perché indemoniato o a causa di altra oppilazione (vd.).
Varianti.  La forma maschile lo fenice, più rara, (testimoniata anche dal TLIO, s.v. fenice 1.1) è preferita al corrispettivo femminile in Triv e Fi La Pr Rb e posta a testo da Inglese.
Autore: Chiara Murru.
Data redazione: 27.09.2018.
Data ultima revisione: 04.05.2020.
1 [Zool.] Uccello mitologico originario dell'Egitto che, all'approssimarsi dei cinquecento anni di vita, costruisce un rogo sul quale bruciare per poi rinascere dalle proprie ceneri.
[1] Inf. 24.107: Così per li gran savi si confessa / che la fenice more e poi rinasce, / quando al cinquecentesimo anno appressa; / erba né biado in sua vita non pasce, / ma sol d'incenso lagrime e d'amomo, / e nardo e mirra son l'ultime fasce.