Commedia |
4 (2 Inf., 2 Purg.). |
Commedia |
aguzza Inf. 29.134, Purg. 8.19; aguzzavan Inf. 15.20; aguzzeranno Purg. 31.110. |
Il v. vale propr. 'rendere acuta e affilata la punta (spec. di armi o strumenti metallici)' e, in tal senso,
aguzzare è doc. nel volg. mant. di
Vivaldo Belcalzer («lima e aguza ay sax») o nel tosc. di
Bartolomeo da San Concordio («aguzzansi i denti»), entrambi d'inizio Trecento (vd. TLIO s.v.
aguzzare). Nel poema il v. occorre sempre in senso fig. con rif. alla vista, intesa ora come facoltà percettiva ora come capacità razionale, secondo una distribuzione che vuole alla prima rivolte le occ. infernali (§
1 [1], [2]) e alla seconda quelle purgatoriali ([3], [4]). Per il valore della
visio intellectualis nella
Commedia e l'immagine tradizionale della vista-arma con cui l'uomo affronta la "guerra della conoscenza", cfr. quanto detto s.v.
acuto.
Locuz. e fras. Nell'it. contemporaneo è familiare e lessicalizzato l'uso del v. nel ventaglio di espressioni fras. e prov. costruite con
sguardo,
vista o
ingegno (vd. GRADIT s.v.
aguzzare; fra i prov. è qui ricordato
la necessità aguzza l'ingegno). Nei testi anteriori alla metà del Trecento, invece, le att. di
aguzzare rif. alle facoltà dell'uomo sono ancora piuttosto limitate e spesso legate a volgarizzamenti (e dunque indotte dall'originale lat.; cfr.
Corpus DiVo). È allora prob. che si debba proprio all'impiego dantesco larga parte della fortuna nei secc. successivi dell'accezione fig. di
aguzzare e delle espressioni a essa connesse (cfr. Fanini,
Attorno all'acume
dantesco, i.c.s.).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 17.10.2019.
Data ultima revisione: 04.11.2019.