Commedia |
elefanti Inf. 31.52. |
Dal
lat. elephans, di derivazione
gr. (LEI s.v., E, 2, 311.21; è diffusa anche la forma
elephantus, spec. in prosa: cfr. TLL s.v., 5.2, 354.6). Gli autori medievali desumono notizie di tali animali per lo più dalle fonti classiche (come Lucano o Plinio), ma anche dai repertori enciclopedici e dai bestiari (es. «Eleofante si è una grandissima bestia, la maggiore che homo sappia, e à molte belle nature, ed è sì potente che non è homo che male li potesse fare...»
Libro della natura degli animali (A), fine sec. XIII, pis.; cfr. anche TLIO s.v.
elefante). Nel poema il richiamo all'enorme mammifero è suggerito dalla visione degli «orribili giganti» (v. 44) che presidiano l'ultimo cerchio infernale: delle creature paragonabili a
elefanti, appunto, o a
balene (vd.), e tuttavia ben più pericolose poiché dotate d'ingegno («per lo producimento che fa la natura delli elefanti e delle balene, avegna che sieno grandi del corpo, non fa male la natura, però che non hanno intelletto, e sono semplici di voglia, e prendonsi molto ad uso e utilitadi delli uomini, e da lloro non si riceve ingiuria. Ma li giganti sono potenti, e grandissimi, e reissimi...»
Ottimo commento,
ad l.).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 18.11.2020.
Data ultima revisione: 11.01.2021.