Il vocabolo è usato nella
Commedia due volte, con oscillazione di forma: con velare sorda intervocalica, alla latina, a
Inf. 25.23 (in rima con
Caco e
laco), e con velare sonora a
Purg. 32.131 (in rima con
ago e
vago). In it. antico il
drago (o
draco) può corrispondere generic. a un grande rettile (cfr. TLIO s.v.
drago 1). In entrambe le occ. dantesche, si tratta di un animale mitologico, ma con alcune differenze. In particolare, a
Inf. 25.23 il
draco è l'animale alato («con l'ali aperte») che sputa fuoco («affoca» al v. 24, vd.
affocare), tipico dell'immaginario fantastico medievale pur avvicinato (anche fisicamente) da Dante al personaggio di Caco. Supportato dalle credenze e dalle raffigurazioni del suo tempo, e con l'intenzione di rinnovare «una figura classica con un motivo medioevale» (Momigliano), Dante trasferisce al
drago la qualità, già del personaggio virgiliano, di emettere fiamme dalle fauci (cfr. Inglese
ad l.). A
Purg. 32.131 con
drago si fa rif. al «draco magnus» dell'
Apocalisse (
Apc. 12, 3), fonte che permea tutto il canto. Qui, a parte l'attrib. della coda, non sono precisate le caratteristiche dell'animale, come invece a
Inf. 25.23. Tuttavia, l'ipotesto biblico permette di definire più precisamente il
drago purgatoriale secondo i tratti tipici della rappresentazione apocalittica, che prevede un mostro munito di sette teste di serpente (per altre fonti, tra cui le ascendenze gioachimite, e in generale per l'interpretazione di tutto il canto, si veda – tra gli altri – Perugi,
Canto XXXII, e la bibliografia ivi indicata; Chiavacci Leonardi
ad l. e Colicchi in
ED).
Autore: Veronica Ricotta.
Data redazione: 27.09.2018.
Data ultima revisione: 29.04.2019.